"Atom Heart Mother" , copertina rivisitata.
"Atom Heart Mother" , copertina rivisitata.

2 ottobre 1970: esce per il mondo ATOM HEART MOTHER dei PINK FLOYD

Il 2 Ottobre del prossimo anno “Atom Hearth Mother” dei Pink Floyd compirà 50 anni. Sì, perché quello che è oramai divenuto un classico imperdibile dei ’70 venne pubblicato proprio il 2 Ottobre del 1970. Un album irripetibile, che avrebbe segnato la svolta dei Pink Floyd. Innanzitutto, c’è da dire che “Atom Heart Mother” è il primo disco – quinto in studio nella discografia – ad abbracciare la chiave del progressive rock a discapito della psichedelìa che aveva contraddistinto l’intenso percorso dei Pink Floyd dagli esordi del 1967 con “The paper at the gates of dawn” fino ad “Ummagumma” del ’69.

Pensare che nel giro di soli due anni, la band era riuscita a dare alle stampe ben quattro dischi, ciascuno divenuto un caposaldo della storia del rock britannico. Ebbene, la gestazione del disco non fu tra le più semplici. Stando a quanto dichiarò David Gilmour, “Atom Heart Mother” corrispondeva al tentativo di mettere insieme un mucchio di rifiuti.

“Atom Heart Mother” è il primo disco dei Pink Floyd ad abbracciare la chiave del progressive rock

Non solo Gilmour, nessun membro della band si è mai detto felice di “Atom Heart Mother”. Eppure, fu proprio “Atom Heart Mother” a permettere ai Pink Floyd di raggiungere le vette delle classifiche britanniche e europee. Avendo giù sperimentato molto con i dischi precedenti, che ricordiamo essere stati “sfornati” uno dietro l’altro, la band mancava di idee.

O meglio, mancava di idee che soddisfacessero l’intento di cambiare volto e immagine all’aurea psichedelica da cui erano in-vestiti.  Pare si andasse avanti per inerzia. Si decise così, di procedere abbinando le diverse parti che ciascuno dei membri improvvisava in studio. Un po’ come era avvenuto per il brano “A saucerful of Secrets” dell’omonimo album.

Ciò che emerge – ed emerse a cose fatte – è sì, la mancanza di un punto focale specifico e ricercato, ma anche il risultato di un lavoro letteralmente corale. Una sorta di contraddizione in itinere, considerando anche il fatto che il disco ebbe successo nonostante fosse uno tra i primi dischi a scardinare il tradizionale formato di raccolta di canzoni di cui si compone un album.

Tanto per cominciare, “Atom Heart Mother” venne pubblicato da una major – la EMI – priva di titolo, tracklist, e nome del gruppo. Questo, per volere degli stessi Pink Floyd il cui desiderio era di riuscire nella massima sobrietà possibile. La title track è strumentale, dura oltre i 23 minuti ed è il risultato della fortunata collaborazione con quello che è stato uno dei pionieri britannici della sperimentazione sonora, Ron Geesin. Il compositore rinforzò il brano, che ai Pink Floyd appariva troppo debole, grazie ad un epico arrangiamento sonoro.

A seguire, tre brani cantati. “If” ha la voce di Roger Waters, “Summer of ’68”, la voce di Richard Wright – il tastierista del gruppo – e “Fat old Sun” è cantata da Gilmour. Di nuovo una strumentale, “Alan’s psychedeli breakdast”. La curiosità di questo brano è che l’intermezzo vocale e parlato è la registrazione della reale conversazione che Alan Stiles, amico, seguace e “dipendente” dei Pink Floyd, stava intrattenendo con qualcuno mentre si preparava la colazione nella cucina di Nick Mason, il batterista dei Pink Floyd.

Sono svariate le curiosità che gravitano attorno ad “Atom Heart Mother”. Possiamo ricordare che la copertina che figura una mucca che pascola fu scelta dalla band proprio perché immagine di ordinaria semplicità. La celeberrima mucca è una frisona. Un bovino di razza che realmente si chiamava Lullabelle III. Ispirata dal grafico Storm Thorgerson, comunque, alla contemporanea opera “Cow Wallpaper” di Andy Warhol.

Il titolo del disco fu scelto per ultimo. Senza titolo, “Atom Hear Mother” era pronto. Accadde che Waters e Geene scoprirono di una donna incinta a cui venne applicato un pacemaker e che riuscì a partorire. Affascinati dalla storia, decisero assieme al resto del gruppo di ispirarsi al titolo dell’articolo che apparve sull’ Evening Standard in cui era appunto riportato l’evento. Un miracolato caso che, a pensarci, valse la fortuna dei Pink Floyd. Un’altra interessantissima curiosità rispetto all’album è che il regista statunitense Stanley Kubrick chiese ai Pink Floyd di utilizzare proprio il brano “Atom Heart Mother” per inserirlo, spezzettato, lungo il capolavoro “A Clockwork Orange”.

 

La band rifiutò, ma Stanley Kybrick riuscì a far entrare il disco nel film facendone apparire la cover nella scena in cui Alex Delarge si reca nel negozio di dischi. Per chi non ha visto il film – né conosce il romanzo da cui è tratto – è bene ricorrere ai ripari, Altrettanto, per chi non conosce il sommo disco che abbiamo modestamente celebrato.

 

 

 

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