Paolo Saporiti in una foto promozionale
Paolo Saporiti in una foto promozionale.

ACINI – LIVE di PAOLO SAPORITI, una spina nel fianco della musica

Dopo sette album da solista e due con il progetto Todo Modo insieme a Giorgio Prette e Xabier Iriondo (Afterhours), torniamo a parlare di “Acini”. È il lavoro ultimo di Paolo Saporiti del 2018, pubblicato per OrangeHomeRecords, ma questa volta si tratta della sua versione registrata live in uscita il 21 febbraio 2020. Con a lui il chitarrista Alberto N.A. Turra e il batterista Lucio Sagone, compagni coi quali da circa un anno e mezzo divide il palco. Il titolo è ispirato al romanzo inedito del padre di Paolo Saporiti, “Acini d’uva”, lungo tredici tracce tinte di acidi vino buoni. Insieme al primo progetto era in programma anche una nuova pubblicazione: “Atomi”. Una tendenza a dividere per poi raggruppare in un ulteriore richiamo a quella che era la professione del padre, chimico e acuto osservatore della vita.

Cantautore della malinconia, Paolo Saporiti, traccia i profili di “isole metafisiche”. E lo fa fin dalla copertina dell’album, che ora cambia vesti, sempre “a due passi dal cielo” e da qui. Tre brani si aggiungono alla registrazione live dell’album che diventa un percorso figlio di una unica serata, si carica così di sbavature non corrette ed errori ben riusciti. Vero e sporco, dritto all’anima delle cose. Rimane quella malinconia arrabbiata che scava la profondità dell’esistenza e dei suoi tempi, come simboleggia la Luna, protagonista indiscussa sul calare del disco. Astratti universali si intrecciano dentro “Acini – Live”, astronomie dell’esistenza di attori che assistono ai corsi e ricorsi, come direbbe Giambattista Vico.

Cantautore della malinconia, Paolo Saporiti, traccia i profili di “isole metafisiche” in “Acini – Live”

A proposito di trasformazioni stellari che non possiamo fermare, il video di “La mia luna” disegna questo immaginario di viaggi metaforici che alterano la realtà a suon di passioni. Quale è il confine tra finzione e realtà, quale tra Terra e Luna, quale tra partenze e arrivi, quale tra rimanere e scappare. Non c’è più il falsetto di “Le passeggiate notturne del re” che diventa qui “Le passeggiate” e tanto mi riportava a “Graziosa utopia” di Edda, così come il titolo “Arrivederci Roma” e un folk stralunato che diventa quasi un leit-motiv. Voli pindarici e associazioni bellissime, il “meglio svanire che stare così” di Paolo Saporiti come il “meglio morire che impazzire” di Stafano Rampoldi, appunto.

Non sono gli unici riferimenti cantautorali che si raccolgono scavando in questa galassia di dettagli e pianeti oscuri che fanno rumore. Padri, madri e figli si rincorrono su orbite parallele e la loro corsa ossessiva compone una melodia che a volte culla e a volte taglia, a volte affonda il coltello e altre accarezza. La costante è rimanere, fino alla fine, nonostante tutto. Se “Acini” parla di legami e grandi nebulose, “Acini – Live” grida sottovoce che «non era male restare bambini per poi liberarsi dai sogni». Mentre noi ci liberiamo dalla comune convinzione che il più nobile nostrano cantautorato faccia parte di un cassetto impolverato sotto il letto.

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