Avete presente Stannis La Rochelle che critica qualunque cosa che non sia di suo gradimento con la frase «Troppo Italiano?». È difficile aspettarsi di dover usare questo metro di paragone per parlare del lavoro di una band. Ma Miguel Y La Muerte sono quanto di meno italiano possiate immaginare. Dal punto di vista tecnico, stilistico e sonoro almeno. Le cose cambiano se parliamo dei testi e del filo conduttore di “Blaxploitation”. L’album è un viaggio in un folle universo parodistico: «Una visione americanizzata della piccola Toscana che fa da sfondo a storie di disavventure reali e fantasie epiche dall’ampio respiro cinematografico».
Le storie raccontate da Miguel (Michele Serafini) Y La Muerte (Marco Fedele) nelle nove canzoni che compongono il disco sono surreali racconti di provincia. Si va da un tecnico nucleare emigrato in Olanda che avrebbe dovuto lasciar perdere il thc alla piaga dei pesci siluro importati in Italia nei 50′, fino ad arrivare a “Foocheck-Yo’s Black”, trasposizione musicale di una figura gergale livornese. I termini colloquiali e dialettali vengono tradotti direttamente in inglese per «evocare atmosfere familiari legate agli ascolti che ci accompagnano da una vita intera».
Chitarre acustiche ed elettriche, bassi, grancasse, banjo, armoniche, kazoo e addirittura una voce che simula il suono di una tromba
“Blaxploitation”, uscito il 20 luglio in tutti gli store digitali,è una gringo-symphony composta da due menti, quattro mani e tanti strumenti. Chitarre acustiche ed elettriche, bassi, grancasse, banjo, armoniche, kazoo e addirittura una voce che simula il suono di una tromba. Sono questi gli ingredienti con cui è stato preparato il trip che vi farà vivere la «one man band di due persone»; come si autodefiniscono Miguel Y La Muerte.
Il disco è curato sin nei minimi particolari, a partire dalla stupenda cover, che rappresenta un bell’omaggio alla black culture. il termine “Blaxploitation” infatti va proprio ad indicare quel mercato, prima cinematografico, poi letterario, fumettistico e musicale che nei 70′ attinse dalla cultura afroamericana a piene mani.
Le canzoni di “Blaxploitation” trasudano tecnica e fantasia, oltre a possedere uno stile compositivo fuori dal comune. Miguel Y La Muerte rendono omaggio alla cultura musicale USA degli ultimi cento anni. Ogni riff del loro lavoro rivela il grande estro musicale del duo, che dimostra di saper padroneggiare il folk, il delta blues, il rock, il southern, la black music, l’heavy metal, il bluegrass, il country, lo stoner e anche il jazz manouche, tanto per non farsi mancare nulla.
Il duo dimostra di saper padroneggiare il folk, il delta blues, il rock, il southern rock, la black music, l’heavy metal, il bluegrass, il country, lo stoner e anche il jazz manouche
Prendete Jimi Hendrix, Stevie Ray Vaughn, Robert Johnson, i Clutch, Zakk Wylde, Willie Nelson, i Lynyrd Skynyrd, Jean “Django” Reinhardt, Miles Davis e una bella dose di citazioni della cultura pop a stelle e strisce, mescolate e comprimete il tutto dentro neanche dieci canzoni. Aggiungete poi dei testi e un background unico, insieme a una produzione di altissimo livello, vero punto di forza del disco. Raramente abbiamo sentito un album italiano ma dal sapore americano così verace.
Questo è sicuramente merito dei curatissimi arrangiamenti. I cori, il sound delle chitarre elettriche, gli azzeccati effetti aggiunti alle voci di Miguel Y La Muerte, il mixaggio perfetto. Tutto contribuisce a farci credere che “Blaxploitation” sia stato registrato a cavallo fra la Louisiana e il Texas. Ascoltate i Miguel Y La Muerte in viaggio durante un’assolata giornata di agosto, vi troverete catapultati con la mente su una infuocata e desertica Route 66, provare per credere.