La registrazione di Flying Stag funziona perché restituisce in presenza l’assenza del basso
Stavolta ha optato per un certo gusto minimalista nella scelta dell’artwork. Il sole dalle tonalità acide e radioattive, rivela in parte l’intenzione di scrivere un’opera totale da parte dell’autore. È la colonna ideale dell’equinozio d’autunno, due giorni dopo l’uscita dell’album. L’autore solista ha scelto una formazione non atipica per il suo progetto, ma che in qualche modo deve aver reso più ardua la registrazione di “Flying Stag”. Soprattutto per l’effetto che riesce a restituire nell’ascolto. A rincorrere l’intricata melodia ci pensa, in totale solitudine, la batteria di Alberto Marietta. Non c’è alcun riverbero del basso a rielaborare i colpi della cassa. Un’assenza di cui non fa sentire in alcun modo la mancanza.
“Flying Stag” sembra essere la summa dei quasi 30 anni di scrittura di Daniele Brusaschetto
L’album si snoda per 7 tracce dal minutaggio variegato in cui Daniele Brusaschetto sviluppa tutto il suo esistenzialismo. Ciò che colpisce maggiormente è la sua capacità di rendere il pesante impianto dell’industrial metal estremamente leggero. Il suo sound si caratterizza con le dissonanze prima ancora che con le distorsioni. I testi sono snocciolati in screaming, in growl, con davvero quello che capita. Neanche in quest’album Daniele Brusaschetto si risparmia. Un album in cui ogni nota tira l’ascoltatore in un vortice di emozioni disturbanti, narrate in lingua inglese.