Francesco Venerucci in una foto promozionale.
Francesco Venerucci in una foto promozionale.

FRANCESCO VENERUCCI: “Amare tanti percorsi musicali, per aprirne di nuovi”

Diamo il benvenuto su Music.it a Francesco Venerucci. Per rompere il ghiaccio raccontaci un aneddoto divertente o imbarazzante che ti è successo in studio o su un palco.

Più che un aneddoto è un incubo ricorrente. Non saprei dire la ragione ma è capitato in varie occasioni ufficiali e formali (premiazioni ecc.) che il presentatore sbagliasse il mio cognome, o il mio nome, a volte entrambi.

Parliamo subito di “Tramas”, come nasce questo disco e che cosa vuole raccontare?

Come tutti i miei lavori nascono dall’esigenza di unire cultura alta e cultura popolare. C’è la musica da camera e c’è il blues, c’è la polifonia e c’è la melodia mediterranea e così via.

Quale è il brano di questo disco a quale sei più legato? Perché?

“August 14th” perché riassume quanto detto prima, è un multiverso linguistico musicale. Ho sperimentato una metrica nuova per me. Inoltre è in ricordo delle vittime del ponte Morandi.

L’arrangiamento dei brani di “Tramas” prevede un ensemble variabile da 5 a 10 elementi tra la classica formazione jazz e un quintetto d’archi. Cosa comporta questa scelta?

Complica notevolmente la distribuzione delle densità musicali sulla partitura. Sono due ensemble molto differenti che devono trovare la piattaforma giusta per convivere e comunicare tra loro.

Cosa avviene in termini di resa sonora e di esecuzione?

Lo spazio sonoro, con l’ingresso degli archi, cambia radicalmente prospettiva, profondità e punto focale. Gli equilibri sono più delicati ma il tutto si fa più dialettico ed interessante.

Secondo te, in che condizioni è la scena Jazz italiana?

Domanda difficile. Mi pare che le condizioni del “jazz” italiano (ammesso che esista una concezione univoca del fenomeno) siano piuttosto buone. Nonostante tutte le difficoltà la scena italiana è tra le più creative in Europa.

Quale è il tuo palco ideale? E il tuo pubblico ideale?

Un teatro, un auditorium. Per quanto riguarda il pubblico chiunque sia disposto per 1 e mezza ad aprirsi a nuovi suoni.

Parliamo dei musicisti che suonano con te nel disco. Che rapporto hai con loro?

Con Dave Liebman collaboriamo dal 2011. Da principio sono stato spinto a contattarlo per interpretare le mie composizioni da un mio impulso non razionalmente determinato. Ho da sempre il pallino del sax soprano, ma non avevo realizzato quanto avevamo in comune (con Dave) in termini musicali fino a quando non ho cominciato a studiare i suoi saggi di teoria musicale, ben dopo aver inciso il primo cd insieme (“Early Afternoon”). Suonare con lui è come vivere un viaggio attraverso il tempo e lo spazio , dare del tu alle figure ormai mitiche del nostro immaginario musicale (Miles, Trane, Elvin ecc ecc). Con il trombettista Ricardo Formoso è stata un’altra scommessa, questa volta al buio. Una scommessa vinta al 100%. È un grande talento della scena jazz portoghese, ma in Italia nessuno ne aveva sentito parlare. E fino a quando non lo ho invitato io non ci aveva mai suonato.

Quanto hanno influenzato il sound di “Tramas”?

Il Jazz è una musica fatta di individualità che mischiandosi generano un risultato collettivo che esprime una personalità specifica. I colori diversi tra la tromba di Formoso ed i sax di Liebman fanno senza dubbio la bellezza dell’album ma non da soli. Poggiano su un background parimenti degno formato dalla ritmica di Tancredi Emmi e Bruno Tagliasacchi Masia e dagli Archi.

Di chi o di che cosa non puoi fare a meno in fase compositiva?

Un pianoforte mi aiuta a concretizzare l’ispirazione.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Molteplici, da Gershwin a Wynton Marsalis, da Monteverdi ai Beatles. E’ comune nei compositori della mia generazione aver amato e seguito tanti percorsi, con la speranza di aprirne di nuovi.

Ultima domanda, “Fatti una domanda e datti una risposta”. Che puoi dirci?

Progetti? Tanti, soprattutto imbarcarmi in una nuova avventura per un nuovo album.

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