Cantautore sicul-bolognese, Cappadonia è il fondatore dei Stella Maris, amico e collaboratore di Pietro Alessandro Alosi – Pan del Diavolo – e musicista esposto sulla scena rock indipendente italiana. “Corpo Minore” è un lavoro completamente suo.
Nato dalla necessità di Cappadonia, forse, di guardarsi allo specchio. Certamente, di scrivere e produrre, solo, la sua interiorità. Il disco si compone di nove tracce, ciascuna delle quali eseguite insieme a diversi collaboratori ed amici. Da Alosi alle chitarre, a Nicola Manzan agli archi.
“Corpo Minore” somiglia a un ritorno alle fonti battesimali di Ugo Cappadonia
Un viaggio tra post-rock e sano pop, “Corpo Minore” pare rappresentare quel “cambio di disco, ma non di percorso”, parafrasando un verso di “Io no”, apripista emozionale di “Corpo Minore”. Corpo celeste, questo, catalogato come materia di “seconda fascia” – passatemi il rimando a quella scatola enciclopedica che è “Boris La Serie”.
In questo caso, non siamo in televisione, ma nell’infinità del cosmo, sconfinato, dove Cappadonia ha ritagliato il suo spazio. “Corpo Minore” ne segna i tracciati, i perimetri. Disegna e sparpaglia puntini cosmici su tracce segnate nel bel mezzo dei ’90, in Italia, all’avvento di MTV e di una scena alternativa nuova di zecca.
Cappadonia ha realizzato, a mio avviso, un buon lavoro. Che se non brilla d’originalità, possiede una sua autenticità. Tradotta in musica, questa ha che fare con i sensi, con una certa predisposizione a colpirne le vulnerabilità. Ascoltare “Corpo Minore” è infatti passeggiare nel tempo, indovinare germogli d’ispirazione musicale e così penetrare dentro l’architettura sonora e narrativa di questo corpo celeste. Il tutto, come dondolanti su di una morbida altalena di fasce stellari.