I Manam ritratti da Natascia Torres.
I Manam ritratti da Natascia Torres.

I MANAM dichiarano guerra agli alieni in REBIRTH OF CONSCIOUSNESS (Album)

“Rebirth of Consciousness” è l’album di debutto dei Manam, giovanissima band dagli attributi massicci e attentamente ispirati. Esponente della branca melodica del death metal, il quartetto ha consegnato il suo primo gioiello all’etichetta Rockshots Records, sempre attenta alle realtà che onorano e suonano il rock. Perché è di rock che si sta parlando qui. Il death metal sarà pure il tronco robusto che le radici hanno sviluppato, ma è sui suoi rami che i Manam hanno saputo ricostruire la coscienza: hanno contaminato un’identità, l’hanno svuotata e l’hanno impreziosita. Nove rami di metallo abbracciano a tratti acustiche gemme e sorreggono elettrici virtuosismi che, se ammiccano, lo fanno con grazia, potenza e sostanza.

Sostanza, sì. Perché “Rebirth of Consciousness” è la narrazione di una storia. Nove tracce seguono il percorso alla volta di un personalissimo Je est un autre rimbaudiano. La storia alterna gli sguardi di – e tra – umani ed alieni che, conquistatori questi ultimi, verranno sconfitti dopo la presa di coscienza da parte dell’uomo della propria forza, ma soprattutto, della propria debolezza. I Manam ce lo ricordano: non c’è Io senza Tu. Né identità senza alterità, né coscienza, né ripresa.
Ebbene, siamo in mare. Alla prima remata ci coglie una strumentale di scarsi due minuti. Un temporale ad introdurla e una tensione semi-acustica a rendere linfatica e fascinosa l’umida freschezza del suond dei Manam.

Picchia forte, tant’è ricercata, la melodia dei Manam. Voce e chitarre sono accordate per invitare a non fuggire da se stessi.

Siamo immersi e c’è una “Supernova”. Sciabolate dalle corde elettriche e martellate dalla cassa rullante annunciano l’arrivo degli alieni. Velocissime le ritmiche, roventi le chitarre. Il basso si fa sentire potente, pesante. E si capisce subito che siamo di fronte a un album coi controcazzi. La voce è poliedrica, calda e pulita. È di Marco Salvador, il primo chitarrista. Per tutto il disco, utilizza il gutturale a seconda del personaggio che interpreta e lo fa senza sforzo, con una violenza intima e controllata. La batteria di Nicola De Cesero è la coprotagonista, indiscussa, dell’intero viaggio. Dura e precisa, è un prezioso e necessario specchio all’elettricità del power e del death. Sposa il basso di Marco Montipò e la sferzante chitarra ritmica di Fabiola Bellomo. “Atmand Denied”, 7 minuti e rotti di epica pesante, è aperta e chiusa a suon di mitragliate infuocate.

Qui a parlare sono gli alieni per primi. La prospettiva è la loro. Devono conquistare, sono famelici e vogliono potere. L’umana creatura viene assoggettata alla schiavitù. Ma quanto, l’obbedire, ci allontana dalla miseria del non avere palle o cuore per lottare? È umano anche obbedire. È umano, troppo umano. Arriva “Inner Daemon”. Adesso si va a fondo. Tocca girare la lente alle interiora e scrutare il lato oscuro che si vuole ignorare. Picchia forte, tant’è ricercata, la melodia dei Manam. Voce e chitarre sono accordate per invitare a non fuggire da se stessi. E funziona. “Revelation” è un risorgere. Di nuovo, 7 minuti quasi esatti di dinamismo armonico e climax ascendente. Il pezzo che forse più concentra i colori del metal rock di cui i Manam posseggono la tavolozza. Un brano che a chiusura sfoggia un coro che rende al viaggio la sacralità dell’esperienza. Sempre diretta dalla micidiale batteria-mitraglia.

Mi piace pensare che “Rebirth of Consciousness” dei Manam voglia sfidare l’ossessione identitaria. Il mostro dell’io e dell’etichettatura.

Adesso, dalla consapevolezza, sorge una scintilla. È guerra. “Total War” è il pezzo più scuro e pesante. Il ramo più duro, il più resistente. Ringhiate vocali e mine elettriche in minore. Tutti e cinque gli strumenti, contando la voce, sono un esercito coeso in difesa e che sa vincere.
“Ater the bloodys battle […] a red field of desolation fills the new race of humans. Now, they have to deal with solitude […] did they really win?”. Questa l’apertura di “A Raw Awekening”, una sorta di energica ballata che riflette su quello che Wisława Szymborska apostrofò come il solito ripulire che a qualcuno tocca dopo ogni guerra. Solo una volta raggiunta la pace interiore, la creatura può liberarsi e diventare “Anam”. Una creatura libera che viaggia al ritmo del power più veloce.

La battaglia è vinta, il viaggio ha cambiato rotta. “Sahara” è il ramo che si posa più in alto sull’arbusto dei Manam. Messo tra le parentesi di una keyboard, è il pezzo più variegato ed intenso del disco. L’impiego acustico è poetico, l’elettrico doloroso. Il graffio dei demoni è ancora vivo. Torna come un fantasma, come il dubbio sul dolore al suo ricordo. Se io è un altro, come lo conosco se non faccio che combatterlo? Mi piace pensare che “Rebirth of Consciousness” voglia sfidare l’ossessione identitaria. Il mostro dell’io e dell’etichettatura. O forse, chissà? Era tutto un sogno visionario. Il disco no, però. Quello è reale ed è uscito per il mondo proprio stamattina. Che aspettate?

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MANAM

REBIRTH OF CONSCIOUSNESS

23 novembre 2018

Rockshots Records

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