Ad aprire, il nostro SPZ. Cantautore dalle sonorità morbide, che incrociano il dream pop a una sorta d’acustica psichedelìa capaci di restituire, in “Quattro”, attimi di dolcezza e trasognata intimità. Sicuramente individuabile tra le contemporanee sonorità indie nostrane, SPZ ricorda da vicino il cantautorato di Calcutta. Molto, per la linea vocale sciorinata in quel “saliscendi” cui Edoardo D’Erme ci ha abituati. Tanto di guadagnato però, perché una personalità SPZ ce l’ha. Testi e arrangiamenti sembrano frutto di un lavoro all’unisono, come se le parole di una canzone appartenessero già a quelle melodie.
Esse-pi-zeta, cantautore dalle sonorità morbide, che incrociano il dream pop a una sorta d’acustica psichedelìa capaci di restituire, in “Quattro”, attimi di dolcezza e trasognata intimità.
Melodie soft, senza dubbio. Eppure spaziose, larghe nella loro semplicità. Il primo dei quattro brani si chiama appunto “Quattro”. Omonimo, racconta l’ostinata solitudine dello starsene chiusi coi propri quattro pensieri, nelle proprie quattro mura. Sommessamente dolce e vagamene amaro il tono, “Quattro” avanza tra tessiture atmosferiche di tastiere e chitarre languide e fresche. “Nubi” racconta, genuino, il desiderio d’amore che una possibile distanza è capace d’alimentare. Un sogno dai riverberi innocenti e leggeri, come le melodie delle corde impiegate. Rarefatta, la terza “Dovrei”. Battistiana, è la più malinconica e racconta l’incertezza. In conclusione, “Non mi vuoi più”. Brano che ha la cadenza di una dolce ninna nanna, è un tenero e sincero lamento. Semplice, di gusto e con stile, SPZ farà certamente parlare di sé.