Sì, perché nelle nove tracce di “Paura e l’Amore”, i Sick Tamburo cercano la sintesi che questi due sentimenti che fanno gli uomini umani. L’attitudine punk che alimenta il monito dei Tamburo è squisitamente rivisitata in chiave contemporanea. In “Paura e l’Amore” coesistono dei ri-conoscimenti familiari che il corpo stesso rintraccia e disegna con l’agitazione emozionata che si innesca all’ascolto. Perché ascoltare i Sick Tamburo è come tornare nei luoghi dove si scoprivano le acque dei ’90 per bagnarsi del tempo che le ha attraversate. Penso ad “Agnese non ci sta dentro”, “Mio padre non perdona”, “Il più ricco del cimitero”. Ma anche “Baby Blue”.
le corde di Gian Maria Accusani – curve elettriche sulla carta da tradurre in musica – arrivano sempre, e ancora, come fotografie del quotidiano scattate da una prospettiva inclinata.
Pezzi che contengono l’essenza agrodolce che sferza il ritmo e lo fa battito vivo. Vivo è il cuore di “Lisa [che] ha 16 anni”, della fragilità di Andrea, “Quel ragazzo speciale”. Calde le correnti degli arpeggi in “Puoi Ancora”, negli archi che guizzano rapidi fuori dall’abbraccio. Che «non c’è niente senza l’amore, non c’è niente senza il dolore» è la presa di coscienza necessaria alla scelta, alla vita che non ha contrari, che oltrepassa, fosse anche per un intero secondo, la morte. “Paura e l’Amore” è una traccia di questo passaggio sulla terra. Il disco è il panorama di questo punto del percorso che i Sick Tamburo seguitano a plasmare con autentico stile. Una gemma d’aprile, che «genera Lillà dalla terra morta».