Otto, i brani che uno dietro l’altro si fanno pagine di un libro senza tempo e che pure, del tempo sanno dire l’indicibile: la meraviglia che è forza e resistenza. Il navigare per la vita con le branchie – chiamate in causa nell’umida “Vieni con me” – l’ avere occhi nuovi nonostante e a causa di quella «grande, tremenda verità [che] è questa: soffrire non serve a niente».
“Al blu mi muovo” di Fabio Cinti è una meravigliosa poesia
Questo lo scriveva Cesare Pavese. E per quanto possa passare come un affascinante e pericoloso richiamo al cinismo e alla chiusura, di fatto si resta vivi anche dopo aver sofferto. Anche dopo essere morti. Così, la meraviglia si insinua dietro gli angoli di una volontà taciuta. Dentro quel patto che ci vuole fedeli a noi stessi per cui “provare e fallire per riprovare e fallire meglio”. La volontà, in questo caso di Fabio Cinti, di andare avanti con la sua arte tradotta in versi e consegnata alla musica.
Una musica che, tra chitarre dreamy e tastiere a gocce, regala estesi panorami emozionali, lenti e liquidi come la densità che fa la lunghezza dei nostri “Giorni tutti uguali”. La stessa ritmica, in un gioco di disarmante semplicità, è sempre avvolgente, fluida e calda. Nel mentre che accade, scuote le fila della ragnatela umana che usiamo chiamiamo memoria. Un disco, in sostanza, che voglio immaginare come balsamo per questo tempo smantellato dalle brutture di cui tutti siamo capaci. Un disco pieno, “Al blu mi muovo” e che ci si augura si possa presto ascoltare dal vivo.