In foto Cecilia Miradoli e Max Tarenzi, della band Pinhdar.
In foto Cecilia Miradoli e Max Tarenzi, della band Pinhdar.

PINHDAR: “Ci siamo incamminati senza pensare a chi ci avrebbe seguito”

Pinhdar, è un vero onore avervi sulle nostre pagine! Siamo molto curiosi di conoscervi: svelateci un aneddoto divertente avvenuto in uno dei vostri tour!

L’onore è reciproco! Se ti riferisci ai tour quando eravamo la band Nomoredolls, sono talmente tanti gli aneddoti che faccio fatica a sceglierne uno. Emblematica è rimasta la prima data al CBGB’s di New York perché durante il concerto, che fu davvero molto potente, sentivo tra il pubblico (chi scrive è Cecilia la cantante) un tizio che continuava a ripetere «she’s a fu++ing bitch!»​. Arrabbiatissima, alla fine del live, lo andai a prendere per poi scoprire che per gli americani si tratta di un super complimento soprattutto riferito a un’artista rock. Ma noi non siamo più quella band, siamo i Pinhdar e i nostri tour devono ancora iniziare, speriamo di poterci risentire quando avremo nuovi aneddoti da raccontarvi!

Chi sono i Pinhdar e come è nata questa unione che vede la musica come elemento di congiunzione?

Sono Max Tarenzi e Cecilia Miradoli due musicisti milanesi da anni sulla scena musicale indipendente, prima con la band Nomoredolls e poi come fondatori di un festival molto riuscito e amato: A Night Like This Festival, per la bellezza del luogo e per la cura nella direzione artistica. Ma soprattutto sono due amici che hanno fatto della musica la loro vita. Abbiamo fatto una pausa durante gli anni del festival per poterci staccare dal nostro passato di band e per poter assorbire nuova musica, quella che seguivamo come direttori artistici. Ora eccoci qui, con i Pinhdar, come risultato di questo percorso che parte dalla musica, fa giri immensi e torna alla musica.

È uscito il vostro primo album omonimo “Pinhdar”: una fusione di rock, elettronica e trip hop. Quali sono stati i generi e gli artisti che sentite maggiormente come vostri simili o che vi hanno ispirato?

Non ci siamo riferiti a nessun artista in particolare ma abbiamo cercato di far scorrere la vibe il più liberamente possibile. Comunque le nostre radici sono il synth rock dei primissimi anni ’80 e il trip hop del decennio successivo. Due correnti apparentemente lontane ma che secondo noi affiorano in egual misura nella nostra musica.

“Pinhdar” è un travolgente viaggio mentale, un momento di riflessione accompagnato da una soffice follia. Quale è il messaggio che volete far passare?

Credo che il messaggio sia l’amore per quello in cui si crede, senza cercare di stare dietro al trend del momento o alle mode. Alla fine tutti i dischi che sono rimasti nel cuore della gente sono nati così e, il nostro, pur non avendo tale pretesa, segue la propria strada. Ci siamo incamminati senza pensare a chi ci avrebbe seguito: «we ramble to the stars» (cit The cosmic Tune – PINHDAR), speriamo che qualcuno faccia un pezzo di strada con noi. In controtendenza, questo è una sorta di concept album: i brani affrontano due tematiche opposte, la solitudine (in varie forme non solo nella relazione di coppia) e il suo opposto cioè l’eccesso di amore /attenzione.

Il singolo “Toy”, primo brano del vostro album, è accompagnato da un videoclip ispirato alla performance “Cut Piece” di Yoko Ono. Un messaggio forte, dal sapore tanto drammatico quanto reale. Cosa pensate dell’Arte di oggi, in tutte le sue forme, in rapporto con l’umanità che ne fruisce?

Pensiamo che debba parlare alla gente, trattare valori e temi altrimenti lasciati alla comunicazione veloce dei social. L’arte può essere utile per fermarsi e riflettere anche quando è “leggera” e magari ti fa ballare. Insomma, è utile se riesce a toccare delle corde e credo che questo sia un po’ un dovere di chi sta provando a farla, il non aver paura di affrontare anche argomenti come quello a cui si ispira il videoclip di “Toy”.

Cosa pensate del panorama musicale italiano odierno?

Che l’indie è diventato mainstream perché il mainstream non aveva più molto da dire (con le dovute eccezioni ovviamente). Purtroppo manca un po’ la cultura musicale a livello di massa, si tende a prediligere il tormentone mordi e fuggi. Per fare un esempio, in Inghilterra mi ha sempre colpito la quantità di negozi di musica e giornali a tema musicale, ecco, qui non ne vedo più. Un po’ la stessa cosa delle librerie, ci sono solo gli store dove trovi di tutto ma difficilmente scoprirai la band nuova, il disco di culto o la rarità. In parte sono cambiati i tempi, ma in parte è proprio un fatto culturale.

Dopo aver fatto tour intensivi in USA e concerti in giro per l’Europa: cosa riserva il futuro dei Pinhdar?

Vorremmo suonare ai festival. Dopo averne organizzato uno per tanti anni, ci piacerebbe calcare, sia i palchi dei festival italiani che internazionali a cui ci siamo ispirati. Vorremmo passare di nuovo dall’altra parte della barricata, magari in apertura a qualche band che amiamo.

La nostra intervista è giunta al termine, ringrazio i Pinhdar per il loro tempo e per averci fatto compagnia. Queste ultime righe sono tutte per voi, siete liberi di dire ciò che volete, spazio alla fantasia!

Intanto grazie per lo spazio che ci avete dedicato e poi venite a conoscerci magari a uno dei nostri live (il primo è il 31 maggio al Circolo Ohibò a Milano) cercheremo di farvi viaggiare con la musica e con gli occhi: ogni brano è accompagnato da un visual con una regia diversa per ciascuno. I giovani registi sono diretti da Samuele Romano che ha già girato il video di “Toy” insieme ad Alessandro Nassiri.

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