Eleonora Danco è come una bestia libera su un palcoscenico che le fa da gabbia. Il suo corpo è un fascio di nervi tesi attraverso il quale vive e trasmette i suoi racconti. Lo spettatore deve accettare il compromesso iniziale di farsi totalmente inghiottire dal suo mondo. Lo scorrere delle parole segue una logica non troppo razionale ma che trova, comunque, una coerenza e una coesione.
Seguire il flusso di Eleonora Danco diventa semplice, non semplicistico, perché tutto avviene attraverso la lente dell’onestà. Nasce in questo modo il nesso che lega i ricordi, le esperienze, gli stati attuali dei personaggi che l’interprete rappresenta. Prendono vita, in questo modo, anche le figure femminili con le loro lotte e i loro conflitti, sostenuti da un linguaggio visionario perfettamente decodificabile.
Eleonora Danco è come una bestia libera su un palcoscenico che le fa da gabbia.
Eleonora Danco è vera al punto che in scena dice “aspetta è venuta male, la rifaccio”. Nonostante questo, lo spettatore non riesce a scollarsi perché non c’è rottura tra la verità del dentro e del fuori, tra Eleonora personaggio ed Eleonora attrice. Ed è vera al punto che quando afferma “non mi ricordo più niente, ho un vuoto, scusate” e poi prosegue dicendo “qui volevo fare uno scherzo al pubblico”, lo spettatore resta dubbioso nel capire quale dei due sia lo scherzo.
L’idea vincente della regista, autrice e attrice, sta nell’avere un coraggio esemplare, fuori dal comune, raro, nel raccontare fatti di vita quotidiana. È in questo che lo spettatore si specchia. L’empatia è profonda e porta al riso e alla commozione. Eleonora Danco condisce la vita nei suoi aspetti più comuni con un velo di brillante poeticità e, mentre ci tiene con i piedi ancorati a terra, a tratti ci fa anche vibrare sul suo tappeto volante.