Sulle pagine de Il Corriere della Sera, Cesare Cremonini ha parlato del suo nuovo libro “Let them talk” (in uscita il 1° dicembre) e dei suoi disturbi psicotici.
Cesare Cremonini, il lavoro e la schizofrenia
L’ex Lùnapop infatti ha raccontato di come lo psichiatra gli ha diagnosticato la schizofrenia e di come ha deciso di combattere contro questo “mostro”.
«Quasi ogni giorno, sempre più spesso, sentivo un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. “È questo?”, chiese. Era quello. Braccia corte e appuntite, gambe ruvide e pelose. La diagnosi era: schizofrenia»
Il troppo lavoro, una forte ossessione per la musica, questi secondo Cesare Cremonini i due motivi che l’hanno spinto al limite e lo hanno portato a cercare di contrastare la schizofrenia facendo quello che lo faceva stare meglio.
«Venivo da due anni di ossessione feroce per la musica. Sempre chiuso in studio, anche la domenica. Smisi di tagliarmi la barba e i capelli. Lo psichiatra mi chiese cosa mi faceva sentire meglio. Risposi: camminare. Non lavorare; il lavoro era la causa»
“Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino”
Nel corso dell’intervista il cantautore ha raccontato anche di aver assunto dei farmaci leggeri ma che, alla fine, è riuscito a curare i disturbi “camminando per centinaia di chilometri”.
«Mi sono ribellato all’eccesso di attenzione per tutto quel che proviamo, all’idea impossibile di poter esprimere ogni cosa, di comunicare questa slavina di emozioni da cui siamo colpiti»
La prima ammissione di Cesare Cremonini è stata il brano “Nessuno vuole essere Robin” inserita nell’album “Possibili Scenari” del 2017. Adesso l’ex Lùnapop ha imparato a convivere con questi “mostri” e ne parla con serenità e tranquilità
«Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”»