Impossibile non iniziare con la title-track, considerabile anche specie di bozzetto in cui i Vivienne spiegano cosa faranno nel quarto d’ora di minutaggio dell’EP. Primariamente, si rende necessaria una definizione semantica: gli Yurei sono spiriti inquieti che abitano la terra senza trovare pace nell’aldilà. L’angoscia degli spiriti si fa feticismo per il rumore, passione per le percussioni con un velo di ambient per non spaventare l’ascoltatore al buio.
“Yurei” dei Vivienne è un centro di gravità che asciuga la realtà e dilata il mondo paranormale
Dopo la definizione, la schiera dei fantasmi è aperta dai marinai morti affogati. I “Funayrei” sono in grado di provocare lo stesso destino infausto se lasciati salire su una nave. I Vivienne miscelano il post-punk con un retrogusto folk, fatto emergere dal basso. Gli spiriti sembrano essere in dialogo tra loro, grazie ai contrappunti in screaming, in cui accentuano la disperazione.
Seguono le ombre delle madri morte nel concepire il proprio figlio. Gli “Ubume” non sono aggressivi, ma sono solo curiosi di vedere come viva la carne della loro carne. Il rinsaldamento di un legame spentosi troppo velocemente è reso con un intro tribale, in cui protagoniste assolute sono le percussioni.
Con “Yurei֨” i Vivienne scoprono le potenzialità espressive e narrative del post-punk
Poi è la volta di “Ikiryo”, spirito di animi rancorosi. Se il desiderio di rivalsa è tanto forte, durante il sonno o il coma l’anima può separarsi dal corpo e compiere la sua vendetta. Infine, i Vivienne musicano l’atmosfera che rilascia la presenza dei “Gaki”, spiriti di viziosi morti nell’incapacità di controllare o reprimere ogni dissolutezza. Poi giunge il momento della liberazione. Gli spleen rilasciati da “Ofuda” non chiariscono una risoluzione tra i due mondi, piuttosto un dialogo continuo.
Un debutto di classe quello dei Vivienne. Le pretese ambiziose del quartetto modenese portano a casa un ottimo risultato. Interessante il modo in cui lo scream del cantato si incastra sul comparto ritmico, poiché la sei corde non rilascia una melodia con cui tessere contrappunti. Senza basso e batteria, resterebbe solo un noise chitarristico. L’effetto è un ambient che restituisce inquietudine, soprattutto per la capacità dei Vivienne di annodare un’identità spirituale all’altra.
Ma non è la sola sensazione che consegnano i Vivienne. Sembra che facciano il calco dalla temporalità del Giappone, che non ammette una linearità progressiva. Per questo il minutaggio di “Yurei” è un centro di gravità che risucchia in modo prepotente la vita. Difficile uscirne.