Il disco si apre sulle pungenti note del sax con il brano “Melting frame”, un tema che si fonde progressivamente con il resto degli strumenti in un tappeto sonoro dall’atmosfera sospesa ed avvolgente. Eterogeneo e malleabile, ogni brano presenta inaspettate sfumature: consonanze, dissonanze e strumenti che si inseguono in uno spettacolo sempre nuovo ad ogni ascolto. Un album da ascoltare con attenzione e con estrema calma: la sperimentazione va approfondita ed assorbita lentamente. A partire dalla spigolosa e psichedelica title track “How” o dall’ipnotico “Haiku”, onirico e introspettivo.
“How” è dettaglio, ricerca, spettacolo: un continuo oscillare tra passato e futuro, facendo dell’acustico il suo punto di partenza e dell’elettronica la chiave del progresso.
La vera forza di questa musica è che non arriva solo alla mente, ma colpisce dritta allo stomaco: è viscerale, concreta, fisica. Un po’ più calmi i Dueventi cantano «All the lonely people», nel brano “Eleanor Rigby (Rip version)” raggiungendo così un nuovo e profondo livello emotivo che, nella seconda parte del brano, arriva ad una maggiore intensità e dinamicità. Una nota di merito, in particolare, va alla voce, la quale risulta in grado di sostenere con dignità le diverse situazioni musicali presentate dall’album.
La voce si fa strumento e le piccole frasi – non a caso haiku – donano colore all’impasto sonoro, dall’ampio e variegato respiro. “How” è dettaglio, ricerca, spettacolo. Un continuo oscillare tra passato e futuro, sfidando il tempo e lo spazio in un album che fa dell’acustico il suo punto di partenza, trampolino di lancio e dell’elettronica la chiave del progresso. “How” cattura il mistero stesso della creazione artistica; come una nascita, è qualcosa che non si può definire in partenza, ma che si crea nel corso del tempo, del processo in atto.