Un Ep dalle ambizioni cantautoriali, che unisce testi suggestivi a un cupo rock alternativo
Fin dal primo ascolto dell’album si ha l’impressione di un’opera che, nonostante qualche smagliatura, dimostra che i De Xenya hanno interessanti potenzialità. Il sound di “Sussurri”, crepuscolare e ruvido, è curato e non manca di una innegabile inventiva. A volte i testi, che pur non mancano di immagini e visioni vivide, hanno qualche caduta di stile, ma nel complesso l’ultima fatica dei tre ragazzi catanesi non mi è sembrata per niente male, considerando anche la breve vita della band. Andiamo a vedere in dettaglio.
In “Sussurri”, mito greco e angosce del tutto umane si uniscono
“Luna Egoista” apre “Sussurri” con un riff cattivo ed elegante, che subito ci immette in mood oscuro e convincente. Come un certo pastore errante, il protagonista della canzone lamenta la sua disperazione a una luna indifferente. D’altro canto quando si vola così in alto, la rima baciata raramente è una buona idea. In questo caso non manca di stridere, pur non affossando l’appeal di una traccia che funziona. Dopo Leopardi, è nientemeno che Omero a emergere da queste nebbie. Un Ulisse ormai veterano non riesce a strapparsi dalla mente la guerra ne “Il canto delle Sirene”. Si tratta di una cavalcata rock dal tono epico, accompagnata da un riff monocorde e stanco che riesce a trasmettere efficacemente la disillusione dell’eroe.”Ecate”, come la traccia precedente, omaggia il passato greco-romano della loro città natale, in un brano dal testo suggestivo.
Punto di forza è certamente il sound cupo e graffiante, mentre i testi a volte mancano il colpo
“Sussurri”, la title track, incupisce ulteriormente i toni, in una riflessione depressiva ma che non smette di sperare. I tempi dispari di “Gaia” sembrano un ritorno al mistico mondo degli dèi greci, ma in realtà raccontano una umana storia di abbandono. “Oltre l’autunno” racconta le ansie e dolori della crescita tramite un pezzo rock piuttosto convenzionale, che non fa gridare al miracolo ma non dispiace nemmeno. Così anche il brano di chiusura, “La Ballata del Bardo Folle” che, nonostante il titolo, non si rivela più pazza delle altre tracce. Con un titolo del genere mi sarei aspettato un pezzo più audace. Ad ogni modo, “Sussurri” non è cattivo album. Il suo punto di forza va ritrovato certamente nel sound graffiante e notturno, mentre i testi oscillano tra l’evocativo e il maldestro, senza mai trovare una scintilla che sorprenda o colpisca in pieno l’ascoltatore. Strada da percorrere c’è, ma la via imboccata sembra quella giusta.