I Ranter’s Groove hanno combinato suoni concreti a ritmiche minimali capaci di scorrere alla velocità dell’Haiku secondo le caratteristiche dei versi del poeta succitato. L’Haiku è un componimento poetico tipicamente giapponese che prevede uno schema metrico essenziale nella forma. Semplice, ma denso di potenza immaginativa. Quello che fanno i Ranter’s Groove è proprio una ricerca sonora che consegna quella visione a palpebre serrate che nel quotidiano può essere lo scarto comunicativo, l’alterazione del silenzio che si riempie di voci, suoni, rumori, battiti, vibrazioni, pensieri. I brani non sono canzoni, ma micro–composizioni in cui gli strumenti utilizzati – microfoni, computer, chitarre, nastri, batterie elettroniche e loop machine – aprono varchi alle interiora per affacciarsi fuori e/o viceversa.
“Haiku” è un album di sedici brevissimi brani che raccolgono i sensi e li portano a spasso per sentieri inesplorati
Ascoltarli, è come assistere alla creazione di un dipinto. In itinere, è liquido ma non per questo fluido o cristallino. Sono sequenze ritmiche e sonore mobili, che a partire dalla musica – dai versi – manipolano il silenzio – la comune verità –. Un lavoro, “Haiku” che è un concetto in cui forma e contenuto si appartengono e che mettendo in discussione la forma canzone, pone dubbi sull’esistenza di una effettiva realtà permanente. Un lavoro denso quindi, e oltremodo interessante. Le distorsioni, i toni cupi, gli accenni malinconici, le manipolazioni di quella che potrebbe essere una voce narrante – che si esprime in lingua giapponese – tutta la realtà dei sedici brani di “Haiku” è capace di smuovere sensazioni dimenticate, appiattite dalla schizofrenia crescente di questo millennio. E per la cura, l’abilità e la portata culturale della loro ricerca, i Ranter’s Groove non vanno persi di vista.