Hernán Blanco (Ricardo Darín) è stato eletto nuovo presidente dell’Argentina da pochissimo. La sua prima apparizione internazionale come neoeletto avviene in un importante summit fra tutti i presidenti latino-americani. Il luogo dell’incontro è un hotel sperduto in cima alle Ande. Il vertice politico, tuttavia, è incrinato da un caso di corruzione che potrebbe mettere a repentaglio il nuovo governo argentino. Il pubblico ministero che sta agitando un caso di corruzione è l’ex marito della figlia del neopremier, Marina (Dolores Fonzi). Pur di non lasciarla sola durante la difficile separazione, Blanco la porta con sé all’evento. Qui, la donna, fortemente provata, avrà un esaurimento nervoso. Adesso al protagonista viene chiesto un impegno su due fronti. Come presidente deve impegnarsi nelle delicate trattative diplomatiche con gli altri paesi. Come padre deve stare vicino a sua figlia ora che ha bisogno di lui. Intanto l’accusa di corruzione comincia a pesare sulla sua coscienza.
Nella sua prima parte, “Il presidente” sembra concentrarsi sul modo in cui questo leader normale agirà in un vertice internazionale cruciale.
All’inizio del film una soggettiva ci introduce nella Casa Rosada, la dimora ufficiale del presidente argentino, attraverso la porta di servizio. Una scelta registica simbolica che sembra dirci non solo quanto sia difficile arrivare al cuore del potere, ma anche che la versione ufficiale di ogni cosa non è quasi mai quella reale. L’uomo che la macchina da presa ha introdotto nella residenza presidenziale non ha un’identità precisa, e il suo nome non compare nei registri. Qualcuno ha fatto un errore di trascrizione? O il film sin da subito vuole porci delle domande sull’identità, sul fatto che le persone e i loro nomi non sempre corrispondano o rappresentino le stesse cose? La campagna elettorale punta a usare il cognome del nuovo presidente come uno slogan: un uomo comune, semplice, un uomo che viene dalla strada come te, un uomo Blanco!
Hernán Blanco è l’ex- sindaco di una cittadina de La Pampa all’apparenza senza nulla da nascondere. Di lui si sa poco, e quel poco che si sa non sembra intrigare la stampa. Eppure la sua discreta presenza mediatica sembra nascondere più ombre di quante non sembri. Proprio come la politica che, lontanissima dall’essere bianca e trasparente. si fa territorio grigio, un campo di sfumature pericolose. Nella sua prima parte, “Il presidente” sembra concentrarsi sul modo in cui questo leader normale agirà in un vertice internazionale cruciale. Fin da subito gli interessi commerciali incrociati e il gioco di supremazia domineranno l’incontro, senza risparmiarci logiche machiavelliche, conversazioni a doppio taglio e alleanze di comodo. Però durante la riunione cominciano ad emergere una serie di incrinature nell’identità del protagonista. Il primo colpo è assestato dall’ex-genero, che minaccia Blanco di rivelare le informazioni di cui sarebbe in possesso sull’appropriazione indebita di fondi pubblici.
È curioso come “Il presidente” evochi una certa fiction televisiva, anch’essa interessata a rivelare i retroscena del potere politico.
L’arrivo della figlia stravolge definitivamente il registro del film. Marina porta in sé un trauma psicologico che esplode nel momento peggiore. Blanco si rivolge a uno psichiatra che sottopone la figlia all’ipnosi. Cominciano a emergere una serie di ricordi inquietanti legati al passato familiare del protagonista. Marina, vittima indiretta dell’autorità del padre e dell’ex-marito, assume le sembianze di quell’archetipo tragico che ha avuto tanti nomi, da Ofelia in “Amleto” alla figlia di Michael Corleone ne “Il Padrino: Parte II”. La trama di potere e speculazioni a un certo punto viene interrotta, lasciando il posto a un taglio più riflessivo e più vicino alla suspense psicologica, con elementi schizofrenici che portano a dubitare della verità che i personaggi assicurano. Una svolta inaspettata che dà la sensazione di vedere due storie apparentemente non correlate. Ma che stranamente si uniscono per aiutaci a rispondere a una sola domanda: chi è Hernán Blanco?
È curioso come “Il presidente” evochi una certa fiction televisiva, anch’essa interessata a rivelare i retroscena del potere politico. All’inizio, il film sembra emulare direttamente le strutture di serie di successo come “West Wing” o “House of Cards”. Tuttavia, il racconto di Santiago Mitre si affranca da queste, conservando un alone di ambiguità attorno al personaggio principale. Eppure, proprio come una serie tv, “Il presidente” accumula strizzate d’occhio a un immaginario di potere stereotipato. Ad esempio, le metafore e i simboli che risultano nelle doppie letture del film – a partire dal titolo originale “La Cordillera” – che passano per il cognome del presidente, le ricorrenti immagini di cavalli o l’ambientazione nell’hotel isolato sulla cima andina. A un certo punto compare anche il personaggio di una giornalista, quasi ridicolo nel tentativo di aggiungere valore alla sedicente profondità del discorso politico.
“Il presidente” è la produzione più costosa di Santiago Mitre e conta alcuni dei più grandi attori dell’attuale cinema latinoamericano.
È evidente che nel cinema di Santiago Mitre ci sia una chiara e realistica urgenza politica. Se nei suoi film precedenti il regista aveva esplorato dal basso le contraddizioni e le sfide del potere, “Il presidente” si cala nei meandri del sistema dal suo piano più alto, quello presidenziale. Questa volta però, il regista non è interessato all’ideologia di base del suo personaggio. Blanco non incarna esplicitamente la dottrina di un particolare partito, né è tarato su qualche figura dell’attuale panorama politico argentino. In questo caso Santiago Mitre è interessato a sezionare il corpo dell’uomo di potere, piuttosto che analizzare la coerenza tra teoria e pratica politica. La regia si muove dal desiderio di ritrarre le imperfezioni della democrazia e la curiosa deriva che una parte dei regimi argentini ha seguito. Su questo versante “Il presidente” potrebbe essere considerato un passo avanti nel cinema di Santiago Mitre.
“Il presidente” è la produzione più costosa di Santiago Mitre e conta alcuni dei più grandi attori dell’attuale cinema latinoamericano. Una sorta di sogno cheguevariano attoriale capace di offrirci una visione globale della politica che si spinge fuori dall’Argentina verso l’intera America Latina. C’è una certa coerenza nel disegno tematico. Nella sceneggiatura, scritta a quattro mani con Mariano Llinás, regista di “Storie Straordinarie”, c’è invece qualcosa che non funziona. Così l’apparente spessore del progetto finisce per ritorcersi contro l’intero film. La fattura visiva e la magnifica colonna sonora di Alberto Iglesias paventano il timore che quest’opera sia quello che in gergo si chiama un elefante bianco, un film a cui si dà più importanza di quella che merita. Sotto la sua sofisticata messa in scena da thriller politico di alto profilo, “Il presidente” finisce per mostrare una lettura molto convenzionale su ciò che comporta l’esercizio del potere.