Ciao ai Kabirya e benvenuti su Music.it! Abbiamo questa particolare abitudine di iniziare le conversazioni con gli ospiti con un racconto divertente, o meglio imbarazzante, capitato da quando è nato il progetto. Qual è il vostro?
Ciao! Grazie per averci ospitato prima di tutto! Un aneddoto che sicuramente non possiamo non raccontare si riferisce a quando, durante un mini tour, suonavamo alla Festa della Musica di Torino. Il live era in acustico e non appena arrivammo sul posto c’era solamente un piccolo impianto ma senza cavi, microfoni o aste. Siamo dovuti correre alla ricerca di un microfono e di una spia monitor fra tutti gli altri palchi sparsi per la città e alla fine con l’aiuto di altri artisti che erano attrezzati siamo riusciti a trovare tutto. Esperienza traumatica!
Stiamo parlando con Francesco, Gabriele e Riccardo. Come si sono uniti i vostri percorsi?
Mentre come Gabriele e Francesco avevamo già un progetto in corso, insieme a Riccardo e con un altro chitarrista abbiamo iniziato a provare insieme giusto un paio di anni fa per divertimento suonando cover punk, garage e rock. Dopo qualche tempo, siamo rimasti noi 3 e abbiamo deciso di scrivere pezzi originali e di cominciare questo percorso dal nome Kabirya.
Tra le vostre ispirazioni ci sono band che hanno segnato in qualche modo il nostro scenario italiano, come i Verdena o i Diaframma. Come vi hanno influenzato e vi influenzano quel tipo di esperienze e sonorità?
Sicuramente abbiamo sempre avuto un debole per un tipo di musica più realista, grezza e spontanea, ma che comunque lascia spazio alla sperimentazione sonora e lirica. La componente musicale italiana è davvero forte nelle nostre influenze e gruppi come quelli a cui ci ispiriamo hanno sempre svolto un ruolo chiave in questa sperimentazione, dall’underground più profondo fino a diventare pure dei veri e propri fenomeni nazionali. Pensiamo ai Verdena, i Bluvertigo, ma anche Iosonouncane e Baustelle: tutti progetti con sonorità originali e testi assolutamente non convenzionali.
La scelta della lingua italiana è stata naturale? Avete mai pensato a una scrittura in inglese?
La scelta della lingua è stata frutto di un processo: pian piano ci siamo evoluti nei gusti musicali e partendo dall’inglese, con cui inizialmente scrivevamo tutti i nostri pezzi, abbiamo capito che potevamo esprimere molto di più usando la nostra lingua madre.
I Kabirya nascono dalle ceneri di un altro gruppo, i Delates. A cosa è stata dovuta questa transizione?
I Delates rappresentavano un rimando alla cultura grunge anni ‘90, decennio che ci è sempre rimasto impresso perché forse mai terminato dal punto di vista musicale e artistico. Purtroppo non tutti i membri della band erano decisi a intraprendere un progetto più serio. Dunque mettere la parola fine ci sembrava la scelta migliore da fare, per concentrarci su quello che ora sono i Kabirya, ovvero un percorso ambizioso che parte già da sonorità post-2000 e guarda al rock, al pop e all’elettronica del presente.
“Forse è migliore” è il vostro primo singolo, incarna in qualche modo una dichiarazione di intenti della band. Cosa rappresenta per voi?
“Forse è migliore” è un brano che racchiude una nostra visione del mondo che ci circonda, in cui pessimismo e negatività sembrano padroneggiare. Ma una vena di speranza c’è sempre oltre l’orizzonte e anche noi, nel nostro piccolo, possiamo trovare il modo di vivere in maniera più semplice e positiva.
Attualmente state lavorando all’uscita del primo album che dovremmo riuscire ad ascoltare in Primavera. Quale sarà le fil rouge di questo lavoro?
Di sicuro sarà un album grezzo, spontaneo, senza filtri ma sarà anche riflessivo. Rispecchierà nostre sensazioni e nostri pensieri riguardo al mondo che ci circonda, su quello che viviamo quotidianamente e soprattutto su ciò che ancora non conosciamo e che talvolta ci lascia perplessi.
L’album di cui abbiamo appena parlato è stato anticipato dall’uscita di un singolo “Nebbia e Piombo”, ispirato al romanzo “I Milanesi ammazzano al sabato” di Giorgio Scerbanenco. In che modo il contesto storico in cui è ambientato si intreccia con il vostro sguardo?
Il brano parla della città di Milano e la confronta fra due versioni: la prima durante gli Anni di Piombo, sconvolta dal crimine e dagli attentati e, la seconda, in tempi odierni. Traffico, ritmi frenetici e inquinamento rendono la metropoli un luogo ricco di attività ma difficile e pesante da affrontare ogni giorno. Per noi Milano si è trasformata in luoghi dove l’individualismo e l’indifferenza sono tratti ordinari della vita sociale e questo ha creato un nesso fra quel periodo storico in cui è ambientato il romanzo e la nostra dimensione attuale, a tratti fredda e apatica in maniera simile quella del passato. Come accade nella storia di questa ragazza suicida che si lascia annegare nella vasca del proprio appartamento di fronte l’indifferenza dei vicini che non avvisano nessuno nonostante l’acqua fuoriuscita dalla porta, quasi a rispettare il volere della donna di ammazzarsi come meglio credeva.
La nebbia è chiaramente un elemento simbolico per il Nord Italia e quindi Milano, cosa ci vedete attraverso?
La nebbia è da sempre un simbolo appartenente a città e pianura, ci avvolge nei mesi invernali e primaverili con la sua foschia costante. Attraverso la nebbia si intravede la solitudine, che può incutere timore. Creando questo vuoto e questo silenzio, però, la nebbia ti fa riflettere e a mano a mano che si dirada, impari a vedere tutto con un altro sguardo.
L’ultimo spazio è tutto vostro! Lascio a voi l’ultima parola e vi saluto, a presto!
Grazie ancora per averci ospitato fra le pagine della vostra realtà, siamo contenti di avervi conosciuto e speriamo che ci possano apprezzare anche i vostri lettori! Siamo i Kabirya, da Piacenza e Milano e vi mandiamo un saluto! Potete ascoltarci su tutte le piattaforme streaming e sui digital stores, oltre che vedere i nostri video su YouTube. Seguiteci attraverso i social e attendete insieme a noi la ripartenza della musica, anche se ovviamente lei non si è mai fermata! A presto, un abbraccio rock e virtuale a tutti voi!