Impetuoso e tempestoso nella prima parte, arabesco e sfarzoso nella seconda; “Totentanz – Evocazioni Lisztiane” è l’esempio perfetto di imitatio e cioè dello scegliere un riferimento per superarlo e arricchirlo con la propria autenticità e con il proprio stile. Il duo non fa altro che cogliere ispirazione e renderne esplicita la contemporaneità, dando così modo di far dialogare passato e presente. Ma non solo, definitivo per questo album è il lavoro di interpretazione – e a mio parere di acuta sensibilità da parte due pianisti – nel riproporre e affrontare un materiale proveniente da un’opera sconosciuta ai più come il “Totentanz” lisztiano.
“Totentanz – Evocazioni Lisztiane” è l’esempio perfetto di imitatio, dello scegliere un riferimento per superarlo e arricchirlo con la propria autenticità e con il proprio stile.
“Totentanz” e cioè “Danza della morte” è una danza macabra per pianoforte e orchestra; quest’opera è stata composta tra il 1834 e il 1859 e rievoca un’atmosfera oscura e assolutamente irrequieta. L’interpretazione e quindi la rilettura parte da una versione a due pianoforti ulteriormente condensata su un solo strumento, a due e a quattro mani. Gli addii fanno male, sono la morte lenta e silenziosa del passato, delle gioie, dei dolori e della grinta che spinge sino all’ultimo respiro. Poi tutto finisce, si ferma: tu non sai come, ma ne sei e ti senti complice.
Massimiliano Génot e Emanuele Sartoris nei dodici brani che compongono “Totentanz – Evocazioni Lisztiane” amplificano il breve brano originale; gli artisti lo portando a quarantaquattro minuti di intensa musica, immagini e sensazioni senza tempo né luogo. E nel momento in cui questi fotogrammi scorrono davanti agli occhi di chi ascolta, come al passaggio di un treno che hai deciso impulsivamente di non prendere, arrivi alla fine e ti accorgi che metteresti di nuovo play per ricominciare il viaggio, fino a quando non avverrà “Il Trionfo della Morte”.