Nonostante non escano fuori le parole d’ordine che permettano il riconoscimento dei seven deadly sins, Franco Cimei, nel giro di pochi e non complessi giri di chitarra, riesce a costruire una mappa concettuale di quelle che sono le abitudini contemporanee che accompagnano queste profonde inclinazioni dell’animo umano, da sempre in bilico tra immersione e annegamento. Così, il sound prettamente acustico, vagamente dreamy, ma squisitamente terreno di “Pandora” sembra restituire lo specchio della vita materiale delle persone intimiste. Una sorta di filmato degli indoors di Franco Cimei, del suo essere attento, del suo essere in vita.
Ogni canzone descrive un vizio da una prospettiva estremamente soggettiva, come per costruire un atlante personale, una mappa stellare utile per l’orientamento in viaggi futuri
Apripista è “Gerontocoltura”, una frizzante, scanzonata e non banale canzone alla Daniele Silvestri che nelle lyrics riflette circa il ruolo dell’anziano. Custode di un vecchio sistema di risparmio economico e dispensatore naïve d’amore e paghette. Qui, evidente è l’influenza dei cantautori cantastorie del nostro Bel Paese. Penso a Rino Gaetano, forse a Edoardo Bennato, ma anche al già citato Daniele Silvestri, col quale Franco Cimei – che emerge comunque con una sua certa personalità vocale e compositiva – condivide forse una maniera dolce e morbida di cantare.
Segue “All’albero delle prugne”, la favorita dalla penna scrivente. Una metafora insolita della lussuria intesa attraverso il cunnilingus, azione che qui avvicina l’essere al suo stato beato e primordiale. Qui, le atmosfere sono quasi rarefatte. Balzano alla mente i panorami ariosi, distorti e translucidi degli Afterhours di “Strategie”. Non c’entra niente, eppure c’è dentro qualcosa.
“Pandora” sembra restituire lo specchio della vita materiale di una persona intimista. Una sorta di filmato degli indoors di Franco Cimei, del suo essere attento, del suo essere in vita
Seguita “Pandora” tra rimandi a un pop ispirato mescolato a sprazzi progressive che in “Miraggi” racconta, malinconica, la noia che accompagna la superbia nei rapporti consumati tra ostinate recinzioni. “Scugnizzo ” è un arpeggio dolce-amaro, punto caldo e a favore di Franco Cimei che con pochi giri innalza la narrazione a uno stato d’ipnosi dell’io che, attraverso il confronto con un Altro, ha visto il fiore più dolce di tutto quello che non sarà mai.
Uno dei pezzi più riusciti di “Pandora” è “Babilonia”, dove il gesto del pizzicare una chitarra che pare senza tempo restituisce la confusione della gola ed un sorriso verso l’eco di Vinicio Capossela. La title-track, “Pandora” è cupa, secca e umida a un tempo. Torna l’arpeggio, ma si fa triste, racconta d’ un’ira impotente, è bella.
A chiudere, “Felicitazioni”, un brano disincantato eppure emozionale, come il resto di “Pandora”. È l’accidia, che se non permette l’azione, quantomeno accompagna un bicchiere di buon vino rosso mentre qualcuna è diretta all’altare. Si richiude “Pandora” e se ne resta allietati, curiosi, scaldati. Sì, perché attraverso “Pandora”, Franco Cimei invita l’orecchio a varcare la soglia di un’intimità tanto recondita quanto sfacciata e suggerisco che non sia il caso di mancarla.