Ciao! Noi di Music.it iniziamo le nostre interviste con una sorta di rito d’apertura. Durante le vostre esibizioni o prove è mai capitato qualcosa di divertente/imbarazzante?
Ciao! Assolutamente sì e delle più disparate. Potremmo raccontarvi la migliore, che comprende sia le prove che l’esibizione. Mesi fa avevamo un live ad Asti. Era un periodo in cui tutti noi eravamo molto impegnati e non eravamo particolarmente in forma. La mattina dello stesso giorno avevamo fissato delle prove, dalle quali Paolo doveva andarsene un po’ prima, lasciandoci in custodia la sua chitarra, regalo dei sui 18 anni.
Già immagino, povera chitarra…
Beh, noialtri l’abbiamo dimenticata in ascensore e ce ne siamo accorti solo una volta arrivati al locale. La ciliegina? Quel giorno era il compleanno di Paolo. Ovviamente si è scatenato il panico, chi chiamava per sapere se la chitarra fosse ancora lì, chi iniziava a chiedere prestiti per comprargliene un’altra. Fortunatamente la chitarra era stata ritrovata e tutto è filato liscio prima che Paolo ci raggiungesse sul posto.
SLWJW, che nome! Slowjam, come e perché questo nome?
Un nome difficile da far capire, ma che non si dimentica più una volta imparato. L’abbiamo scelto perché ci piaceva il significato che aveva, è un po’ il mood musicale con il quale ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a suonare. Abbiamo tolto le vocali per creare un nome che visivamente sembrasse una sigla, per dargli un tono più FutureSoul e non legarci troppo a quell’unica vibe.
Nati in quel di Torino nel 2018, già un anno dopo collaborate con Federico Sacchi (music teller- divulgatore di musica) per dare vita allo spettacolo “Black History Revisted”, un progetto interessantissimo. Come è nata questa collaborazione e quanto è importante conoscere la storia della musica per una band?
Prima di rispondere vorremmo fare un saluto a Federico Sacchi, grandissima persona a cui siamo rimasti tutti molto legati. Questa bellissima collaborazione è nata perché abbiamo suonato in un locale di Asti in cui lui lavorava e siamo riusciti a fargli sentire il nostro EP. Lui ci ha ricontattati e proposto questo progetto, che ci ha subito presi. Conoscere la storia della musica, della black music in questo caso, è fondamentale, non solo per capire chi ha fatto cosa e quando, ma per contestualizzare il periodo storico e capirne la carica emotiva, che poi è quello che arriva alle persone. Grazie a Federico Sacchi abbiamo capito questa cosa e non solo, abbiamo avuto modo di interagire musicalmente in situazioni, generi e dinamiche che altrimenti non avremmo potuto sperimentare e anche questo ha fatto tanto. Sarebbe bellissimo se ci fosse più spazio per questo tipo di eventi.
“Nothing But U” è il vostro ultimo singolo, uscito il 22 maggio 2020. Racchiude tutto ciò che siete: soul, black music. Formazione musicale o gusti personali, cosa vi ha avvicinato a questo mondo?
Ci siamo avvicinati a questo mondo sicuramente grazie allo studio del proprio strumento, ma non solo. La black music è la musica classica americana, è qualcosa che ha influenzato tutto il mondo e sarebbe stato impossibile non avvicinarcisi.
Jazz, musica Black, grandi performer come Micheal Jackson. Il movimento BLACK LIVES MATTER rivendica diritti ma anche la riconoscenza verso la cultura afroamericana. Musicalmente e culturalmente, quanto su di voi ha inciso questa cultura?
Come dicevamo prima tantissimo. Dalle work songs, al gospel, al blues, il jazz, la tekno e l’hiphop, la black music e la cultura afroamericana hanno segnato lo scorso secolo e stanno continuando ad essere uno dei pilastri della musica mondiale, non solo per il talento alieno di questi grandi musicisti, ma anche, e forse soprattutto, per quello che rappresentano. Quello che sta succedendo in America (Black Lives Matter) è terribilmente sbagliato e ci fa soffrire, ma non è qualcosa di recente, anzi, è un tema fin troppo vecchio ed è giunto il momento che le cose cambino davvero.
In autunno uscirà il vostro primo album. Anticipateci qualcosa a proposito di questo progetto.
Per questo disco abbiamo deciso di sperimentare di più e creare tracce fresche piuttosto diverse tra di loro, lasciando spazio ad ognuno degli elementi del gruppo di uscire e prendersi il proprio spazietto. Se “Nothin’ But U” è un po’ il riassunto di quello che conoscete degli SLWJM, il prossimo disco presenterà nuove vibrazioni e sfaccettature.
La vostra etichetta discografica vi propone di rivisitare uno standard jazz e di renderlo vostro. Quale brano scegliete e perché?
Sceglieremmo “When You Wish Upon a Star”, perché al nostro primo live ne avevamo fatto una versione tamarrissima come intro e ci eravamo divertiti tantissimo.
Soul, future soul e elettronica, Hiatus Kaiyote da una parte, Robert Glasper dall’altra. Tanta sperimentazione e fusione di stili. Se poteste scegliere il featuring perfetto, chi scegliereste?
Questa domanda ci ha messo in crisi, ognuno ha il suo e non siamo riusciti a venirne a capo, quindi ve li diciamo tutti. Per Leo sarebbe Christian Scott, per Davide Kaytranada, per Paolo i Take 6 e per Lollo Kamasi Washington..
Bene, l’intervista si chiude qui. Potete fare domande al nostro pubblico, a ruota libera, senza maschere, né mascherine.
Grazie mille per averci fatto queste domande interessanti! Chiudiamo chiedendo ai vostri lettori: con chi ci vedrebbero bene collaborare nel panorama italiano?