Diamo il benvenuto su Music.it ad Andrea Dessì, chitarrista, compositore e arrangiatore di musica jazz. Ciao Andrea! Ci racconti un episodio curioso che ti è capitato nei tuoi 15 anni di carriera?
Ho una visione della musica molto ampia, ascolto di tutto e apprezzo musicisti di tutti i generi. Proprio per questo, anche se non c’entra nulla con quello che suono e scrivo, Steve Vai è uno dei miei idoli. Sono stato a tre suoi concerti e a due suoi seminari molto interessanti, non solo per i contenuti musicali ma anche per le esperienze musicali e di vita che ha raccontato. In uno di questi, oltre ad averci suonato in jam session, mi hanno colpito alcune sue considerazioni che riguardano me e forse tanti altri musicisti. Steve Vai raccontò che anni fa, durante un tour, un incidente gli impedì di praticare, come prima, la tecnica col plettro di cui era un virtuoso. A tal proposito disse: «Non poteva succedermi cosa migliore: mi sono sforzato di fare ancora più musica e di concentrarmi su quella».
Resilienza.
Molti musicisti si deprimono tantissimo di fronte a questi avvenimenti e a volte smettono addirittura di suonare. Altri, come per l’appunto Steve Vai o uno dal passato celebre come Django Reinhardt, tirano fuori il meglio di loro stessi. Io, nel mio piccolo, senza paragoni e con tutta l’umiltà possibile, ho avuto una storia simile. Conseguito il diploma di chitarra classica, a causa di tendiniti, stress e mancanza di tempo, ho dovuto fare una scelta e abbandonare la tecnica classica. Questo mi ha spinto fortemente a scrivere musica e tirar fuori il meglio che avevo come musicista. A conferma che a volte le limitazioni sono sfide che rivelano sorprese… Per cui vanno vissute bene e in modo positivo.
Sfida dalla quale tu sei uscito vincitore! Il 22 giugno 2018 è uscito il tuo ultimo album, “Non vivo più senza te”, che contiene la versione strumentale dell’omonimo singolo di Biagio Antonacci. Forse non tutti sanno che a scriverne la musica sei stato tu. Com’è stato collaborare con uno dei volti della musica pop più apprezzati in Italia?
È stato bello e sorprendente e ho conservato importanti considerazioni. A volte questi personaggi, così famosi e importanti nel pop, non vengono né capiti né apprezzati dai musicisti in generale. Né dai musicisti jazz o da quelli classici. Biagio Antonacci ha un grande talento musicale, che percepisci se lavori con lui. Oltre ad avere tutta una sua poetica e grande inventiva per le parole, i testi, i contenuti e le cose da dire al pubblico. Ecco, saper fare musica di alto livello, ma nello stesso tempo fruibile è un aspetto che va tenuto in considerazione. Se si suona da soli non ha molto senso. Bisogna saper attirare l’attenzione, incuriosire e sorprendere anche le persone comuni, non solo gli addetti ai lavori. Ossia mettere insieme critica e pubblico, cosa difficilissima.
È un po’ come mettere d’accordo le teste di una chimera. Come hai conosciuto Biagio Antonacci?
Suonavo il brano come lo sentite ora in giro nei locali con i Marea, gruppo di latin jazz fondato nel 2007 da me e Massimo Tagliata. Biagio Antonacci sentì quel brano nel 2008, nonostante lo avessi scritto anni prima. Nel 2012 decise di pubblicarlo dicendo che era fortissimo. Ha avuto ragione, ma gran parte del successo di quel brano è dovuto al testo, al suo adattamento per il pubblico appunto. Ha fatto quel brano suo, sentendo in quelle sonorità molto mediterranee anche la pizzica salentina. È venuto fuori un grande brano. Tra l’altro è stato richiesto all’estero da vari cantanti famosi. Helena Vondráčková, la Mina della Repubblica Ceca, l’ha pubblicato ben due volte. Thomai Apergi l’ha cantato in Grecia e, a suo tempo, è andato benissimo anche in Germania. Non è facile fare dei brani che piacciano così tanto e a lungo. A volte le collaborazioni danno questi frutti.
La tua carriera musicale è segnata da numerose collaborazioni. Particolarmente significativa è, appunto, quella con Massimo Tagliata, con cui hai dato vita ai Marea. In che modo spiegheresti a un bambino la differenza fra la tua musica da solista e quella con i Marea?
Probabilmente con un paragone. Tipo giocare da solo o in gruppo. Da solo puoi essere fantasioso al 100%, inventarti le regole, iniziare e smettere quando vuoi, libertà assoluta. Ma sei da solo, per cui tutto è sulle tue spalle. Con i Marea, nonostante il punto di partenza siano sempre le composizioni che scrivo da solo, dopo c’è un bel lavoro in due. Di prove, di confronti, fra arrangiamento e produzione musicale. Con Massimo Tagliata alla fine si forma un vero e proprio laboratorio di sperimentazione che arricchisce entrambi. Io sono più incline alle cose innovative e Massimo più verso la tradizione. Aspetti importanti allo stesso modo, perciò è fondamentale trovare il punto fra passato e futuro anche in musica. Va trovato un equilibrio musicale, mai scontato, che stimoli sia me sia lui. Finché dura è assolutamente da tenere e di questo ringrazio Massimo, bravo arrangiatore e produttore.
Come musicista, compositore e arrangiatore, il talento di Andrea Dessì ha conquistato anche un pubblico al di fuori dei confini dell’Italia. Delle tue esperienze all’estero, qual è la più memorabile?
La prima, con Marius Sverrisson, cantante e attore islandese. Lavorava per grandi produzioni internazionali che qui in Italia ci scordiamo. Parlo di Germania, Svizzera e Nord-Europa in generale. Ci siamo conosciuti tramite una mia ex in Germania. Poi abbiamo deciso di fare un CD, “Mobile”, di cover con autori conosciuti. Maury Yeston, importante autore statunitense di musical, aveva scritto una canzone per Marius Sverrisson, “Unusual way”, e abbiamo inciso anche quella. Poi breve tournée in Islanda, davvero pazzesca… avevo 23 anni, credo. Nella capitale islandese Reykjavík siamo stati in TV, poi concerto in teatro e anche a un mega Gay Pride. Ci scordiamo anche di avere dei Gay Pride così qui in Italia! Quello che ho visto, ragazzi. Tutti simpaticissimi e molto divertenti. Ho partecipato nonostante sia etero. È stato un lavoro divertentissimo e professionale. A Marius Sverrisson devo molto per l’amicizia e la professionalità, per cui lo ringrazio ancora.
Non sorprende che la tua musica abbia incontrato anche il mondo della danza e quello del cinema. Come la vedresti una performance di live painting con i tuoi brani?
La vedrei molto bene! Prima o poi si farà. È solo costosa da impostare e di questi tempi si fa molta fatica. Ora sto cercando, fra le mille cose, di fare un progetto ambientalista e umanitario con foto d’autore e musica mia improvvisata dal vivo. Vediamo che succed. Per l’arte questo non è un momento semplice, mancano i fondi.
Caro Andrea, non è mai un momento semplice per l’arte. Qual è il tuo ascolto della domenica pomeriggio?
The Beatles! Insieme a mio figlio. Bisogna tramandare i cult del passato. Poi Antonio Vivaldi, Wolfgang Amadeus Mozart, Ludwig van Beethoven, sempre insieme al bimbo. Poi le colonne sonore. Adoro Piero Piccioni, Armando Travajoli, Ennio Morricone, Henry Mancini. C’è un mondo di cose che oggi mi pare perduto. Nel jazz ascolto spesso Kamasi Washington. Lo adoro letteralmente! In mezzo a questi cerco anche di mettere cose nuove. Tipo di musica classica. C’è un repertorio infinito da ascoltare: la musica da camera di Claude Debussy o Maurice Ravel, lavori orchestrali, Gustav Mahler, Béla Bartók. Ascolto anche i nuovi del pop. Raramente mi entusiasmano, ma ci sono dei musicisti in gamba, Bruno Mars per dirne uno. Di italiani l’ultima che mi pare carina è Baby K. Piace al bimbo, e ha ragione. Niente male.
Tutti nomi molto interessanti, ma faccio un po’ di fatica a immaginare Baby K dopo la “Sinfonia n. 5” di Beethoven! Nomina tre musicisti, cantanti o cantautori con cui ti piacerebbe collaborare: uno del passato, uno del presente e uno in un futuro lontano.
Del passato stiamo in Italia: Ornella Vanoni che amo tantissimo come artista. So che è ancora in attività, ma negli anni ‘70 si era avvicinata al jazz, specie al latin. Secondo me ha composto dei veri e propri capolavori, fra cui l’album “La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria” con Toquinho e Vinícius de Moraes, due giganti brasiliani della bossa nova. Anche le sue canzoni puramente italiane le amo tantissimo. Una su tutte “Quei giorni insieme a te” di Riz Ortolani, colonna sonora del film “Non si sevizia un paperino”. Ornella Vanoni è grande artista intimista, pazzesca.
Del presente ne propongo uno all’opposto. Diciamo che mi sarebbe piaciuto scrivere per Ricky Martin nel suo periodo d’oro. Davvero un istrionismo e una carica pazzesca, infatti si è visto.
In un futuro lontano, una cantante straniera per un progetto di contaminazione blues mediterraneo che cerco da tempo potrebbe essere Joss Stone.
Se la tua musica fosse un fenomeno naturale, quale sarebbe?
Una calda sera d’estate al mare, in spiaggia.
Grazie mille ad Andrea Dessì per averci fatto dono del suo tempo e della sua musica. C’è qualcosa che vorresti aggiungere in chiusura a questa intervista?
Sì. Per i giovani in generale, specie i musicisti, per cui sono preoccupato visto che sono papà. Con grande umiltà e devozione consiglio di studiare e tanto. La fortuna c’entra nella vita, ma bisogna farsi trovare pronti e prepararti quando si presenta. Lasciate perdere i talent show e le facili strade verso il successo, che non esistono. Imparate un mestiere vero, quello del musicista, che è cosa lunga e faticosa e saprete di cosa vivere. Il successo o la fortuna arriveranno di conseguenza. Buona vita a tutti.