Wiktor (Tomasz Kot) è un direttore d’orchestra e musicologo che viaggia attraverso la Polonia con la sua produttrice Irena (Agata Kulesza) sperando di reclutare melodie e talenti per il collettivo musicale che il nuovo regime comunista gli ha commissionato. È durante uno di questi provini che la carismatica cantante Zula (Joanna Kulig) entra nel campo vitale dell’uomo. Dotata nella voce e particolarmente affascinante nell’aspetto, Zula è anche opportunista fino al punto di mentire cinicamente. In qualche modo si innamorano ma, poiché nessuno dei due si dice davvero tutto, un filo di menzogna e malinconia si insinua sul nascere nel loro rapporto. Wiktor si oppone alla strumentalizzazione del suo ensemble da parte dello stalinismo, Zula non lo segue nonostante il comune piano di fuga in Occidente. Segue un’odissea amorosa di scontri e rincontri e che, al di là dei sistemi politici e delle ambizioni personali, è tanto impossibile quanto indissolubile.
“Cold War” di Paweł Pawlikowski è in grado di ubriacare il cuore e al contempo di farne brandelli.
Pawel Pawlikowski che aveva entusiasmato con “Ida” (Oscar per il miglior film straniero nel 2014) ritorna nella sua Polonia natia dopo aver lavorato in Francia e in Inghilterra per ampliare la presa culturale del suo cinema. “Cold War” ci appare come una bellissima epopea dedicata alla resilienza polacca presa nella morsa eterna di Russia e Germania, i suoi vicini invasori. Pur senza connotazioni palesi, il film proviene da un ricordo dell’anima del regista. Le peripezie e i nomi di Wiktor e Zula sono ispirati alla storia dei suoi genitori, i quali – come il regista esprime apertamente in ogni intervista – hanno avuto una relazione fatta di rapporti fulminei durati oltre quarant’anni. In questa versione cinematicamente condensata, informalmente episodica e indisciplinata dalle note jazz, il duo di protagonisti è interpretato dal sorprendente Tomasz Kot e dalla talentuosa attrice/cantante Joanna Kulig, nel cui volto Marilyn Monroe incontra miracolosamente Liv Ullmann.
Considerando l’elaborata composizione del film, sembra che a Pawel Pawlikowski non interessi tanto il cosa avviene, ma soprattutto il come. “Cold War” ha un rigore formale e narrativo che paradossalmente consente grande libertà allo spettatore. Il regista non prescrive le emozioni, né schiaccia la storia con pathos e drammaturgie invadenti, bensì disperde i personaggi nelle immagini e nello spazio concentrato dalla fotografia di Łukasz Szal. Il formato 4:3 e il bianco e nero che avevano sublimato il film precedente variano con rinnovata potenza. Le immagini affondano nel contrasto elevato, mentre focali lunghe e grandangoli sono sostituiti da elegiaci movimenti di macchina. L’estetica riflette la sobrietà della Guerra Fredda, come pure la malinconia di un irriducibile amor fou. Percepiamo persino la pellicola analogica invece della tecnologia digitale effettivamente utilizzata. Soprattutto nel clima swing della Parigi anni ’50, la cinepresa cita la tradizione della Nouvelle Vague e gli scatti di Brassaï.
“Cold War” ha un rigore formale e narrativo che paradossalmente consente grande libertà allo spettatore.
Le esibizioni musicali conferiscono dinamica e segnano cambiamenti nel tempo e nello spazio, avvicinano Wictor e Zula come amanti negli spostamenti da Est a Ovest e, così facendo, diventano espressione della loro crescente opposizione. Improvvisamente, le innocenti canzoni popolari assumono carattere politico. La musica esternalizza la vita interiore dei personaggi; i toni quieti vengono rimpiazzati dal jazz, ritmi talmente dirompenti da rendere udibili, prima ancora che visibili, le dissonanze amorose. Eccesso e sobrietà, libertà e restrizione: i livelli di immagine e suono non sono soltanto una campionatura formale, ma sottolineano i due poli emotivi della storia e i diversi assetti politici del mondo. Si può tentare di sfuggire a questa opposizione, ma solo attraverso difficili meccanismi interni, come mostrato nella coesistenza distruttiva dei due personaggi nel mondo libero. La guerra fredda si è spostata, ha abbandonato la Storia e adesso minaccia la realtà di due amanti.
“Cold War” racchiude un conflitto ultraletterale. Anche se la passione è palpabile, Zula e Wiktor non sono semplici amanti sfortunati proprio perché ci sono problemi più grandi nel mezzo. I due sono tragicamente condannati dalle circostanze del momento in cui si incontrano. Come potrebbero fidarsi l’uno dell’altra quando sono in ballo lealtà nazionali ed equilibri storici? Ciononostante, il film si rifiuta di essere incasellato dalle ampie pennellate dell’allegoria politica. Pawel Pawlikowski si ripiega più volentieri sull’umanità dei personaggi e continua a interrogare gli spettatori: cosa è successo tra i due nei momenti, o persino negli anni, che noi non vediamo? Cosa ne sarà di questa improbabile storia d’amore che avrà il suo atto finale in un gulag? Sicuramente più chiara è la natura del film quale sottile metafora della sofferenza degli individui nel grande dramma mondiale. Un adagio melanconico su tutto ciò che è ingiusto in amore e in guerra.
Cold War – Premio come Miglior Film Europeo – Trailer Ufficiale Italiano
VINCITORE DI 5 European Film Awards tra cui Miglior Film, Miglior Regia e Miglior Attrice, COLD WAR è il nuovo film del regista Premio Oscar Pawel Pawlikowski (Ida), vincitore della Palma D’Oro per la miglior regia al Festival di Cannes. A Natale al cinema.