Glenn Close e Jonathan Pryce sul set di “The Wife - Vivere nell'ombra”, di Björn Runge.
Glenn Close e Jonathan Pryce sul set di “The Wife - Vivere nell'ombra”, di Björn Runge.

THE WIFE – VIVERE NELL’OMBRA e il papabile Oscar di GLENN CLOSE

Quanto conta il contesto storico-sociale nell’espressione del talento artistico? Tutto dipende veramente dal proprio genio o piuttosto incidono anche le contingenze epocali sulle opportunità che la vita ci presenta? La storia annovera meno scrittrici, pittrici, musiciste e registe rispetto alla controparte maschile perché effettivamente ne sono esistite meno? Se così fosse, sarebbero subito chiare le ragioni della disparità sessuale in tutti i tipi di produzione artistica nei secoli. Eppure la possibilità di esprimersi al meglio in un’arte è sempre una concessione che viene data, e che non dipende solo dalle doti eccezionali del singolo. E certe concessioni, si sa, non rispettano proprio la quota rosa. Sono queste le premesse alla base di “The Wife – Vivere nell’ombra” del regista svedese Björn Runge, film solo apparentemente schierato e affatto scontato, capace di lambire il terreno del femminismo per conservarne solo le ragioni più nobili e giuste.

Connecticut, 1992. Quando il grande romanziere americano Joe Castleman (Jonathan Pryce) sente che ha vinto il Nobel per la letteratura, la notizia lo fa saltare sul letto di gioia, ma chiude sua moglie Joan (Glenn Close) nel silenzio e nell’introspezione. Mentre si recano in Svezia per la cerimonia di premiazione. accompagnati dal figlio (Max Irons), lui stesso aspirante scrittore sempre oscurato dal padre, il risentimento di Joan per una vita vissuta nell’ombra di un grande artista diventa più evidente.

Björn Runge costruisce efficacemente tutti i caratteri in scena. Nonostante il minutaggio di “The Wife – Vivere nell’ombra”, c’è tempo sufficiente perché trovino spazio tutte le ragioni della donna.

Il sottotitolo aggiunto per la distribuzione italiana ambisce quasi a una esplicazione tematica: cosa significa vivere all’ombra di un uomo per una donna e alle spalle di un marito per una moglie. Di fatto è questa la materia dominate di un film, che però non intende ricostruire l’intera vita dei suoi personaggi. Il regista e la sceneggiatura, scritta da Jane Anderson e basata sul romanzo omonimo di Meg Wolitzer, si tengono lontani dalla cronistoria coniugale, affidando a pochissimi flashback gli antefatti della presa di coscienza della protagonista. Il film è una ripresa serrata delle conseguenze di tutta un’esistenza silenziosa. Quella di Joan, devota all’abnegazione e incapace di imporsi come donna nel mondo e come scrittrice in un mondo di scrittori.

In questo caso la rapidità generale con cui tutto viene risolto è funzionale al sentimento che si intende comunicare. La presa di coscienza di Joan non avviene certamente dal momento in cui il film inizia, ma tracima sì improvvisamente. D’un tratto quello che noi vediamo, il rancore, diventa assordante. Dopo aver rinnegato se stessa per amore, perché si riteneva troppo timida per stare sotto i riflettori e perché cresciuta in anni in cui a una donna, seppur istruita, il futuro non riservava che una casa e una culla, Joan decide di celebrare se stessa anziché il marito. In pubblico, Joe nega ogni merito alla moglie e ancor peggio le nega qualsiasi ruolo o talento, eccetto quello convenzionale di sua musa ispiratrice. L’epifania di Joan sarà tardiva, sinceramente non vendicativa ma comprensibilmente necessaria per dare un senso alla propria identità di scrittrice, di moglie e di madre.

Malgrado un’impostazione teatrale asserragliata in dialoghi costanti, “The Wife – Vivere nell’ombra” riesce con la sua classicità discreta ad avanzare tante idee.

Björn Runge costruisce efficacemente tutti i caratteri in scena. Nonostante il minutaggio di “The Wife – Vivere nell’ombra”, c’è tempo sufficiente perché trovino spazio tutte le ragioni della donna, da quelle più chiare a quelle più sfumate. Proprio in questa stratificazione di spunti e di motivazioni affonda la forza del film. Joe è un uomo narcisista, indubbiamente affascinante, che nonostante i problemi di cuore ancora si dà da fare nel corteggiare hostess e fotografe. Un uomo che ha vissuto per se stesso e per la sua fama, sacrificando la moglie pur di non restare nell’anonimato. Non concede riconoscimenti ad altri al di fuori di sé, né al figlio né alla moglie, nel timore che la propria fama fittizia venga messa in pericolo.

Il matrimonio dei due è costruito su una ben precisa spartizione di ruoli che pubblicamente sono quelli richiesti dalla società, con il marito lavoratore e la moglie che bada alla famiglia. Ma nella realtà celata dietro una porta chiusa sono stati ribaltati per cinquant’anni. Un lungo periodo, in cui Joan è passata dall’essere la studentessa del proprio professore (interpretata da Annie Starke, figlia di Glenn Close) all’essere la sua seconda moglie. Negli anni in cui hanno messo su famiglia, hanno coltivato passione e passioni, soprattutto quella di lui, innamorato dell’idea di se stesso, privo di un autentico talento ma pieno di ambizione. Dove l’uomo non può arrivare, arriva Joan, disposta a una complicità sacrificale.

“The Wife – Vivere nell’ombra” è un racconto che fende i facili giudizi. Si fa spazio tra i torti e le ragioni, evitando di metterli sentenziosamente al loro posto.

Malgrado un’impostazione teatrale asserragliata in dialoghi costanti, “The Wife – Vivere nell’ombra” riesce con la sua classicità discreta ad avanzare tante idee, lasciandole nelle immagini, sospendendole nei silenzi o traducendole in primissimi piani. La regia non rinuncia a rari simbolismi, ma riesce a dosarli sapientemente, non rendendoli didascalici, ma facendone materiale prezioso per la costruzione dei personaggi e dei loro rapporti. La relazione tra Joe e Joan pur chiarissima accumula interesse proprio perché rimane un po’ sbiadita. Non sappiamo tutte le ragioni della donna – lei stessa non si spiega il perché di tante scelte – o forse a noi spettatori moderni appaiono non del tutto comprensibili. Eppure, proprio la volontà del film di non dirci tutto è un valore aggiunto. Per chi guarda rimane la libertà di aderire in pieno al personaggio, comprenderlo fino a un certo punto, condannarlo o assolverlo.

“The Wife – Vivere nell’ombra” è un racconto che fende i facili giudizi. Si fa spazio tra i torti e le ragioni, evitando di metterli sentenziosamente al loro posto. Più facile è schierarsi dalla parte del talento eccezionale di Glenn Close, attrice che ha vissuto essa stessa all’ombra di tante altre celebrate carriere, guadagnandosi apprezzamenti sempre unanimi ma mai sfociati in un vero premio. Ora, con il viso spigoloso ingentilito dall’età e in un ruolo che non ha sovrastrutture fisiche ma è interamente potenziato dal suo talento interpretativo, sarebbe appropriato darle un riconoscimento importante.

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