Daniele Bogon, in arte Alley.
Daniele Bogon, in arte Alley.

ALLEY: “ Quando ti trovi davanti ad un bivio devi prendere delle decisioni”

Ciao Alley! Felice di invitarti dentro la nostra piattaforma. Vorrei cominciare subito chiedendoti che cos’è, per te, la Musica?

Ciao e grazie per l’invito! La Musica per me è fatta da diverse cose interconnesse. È anzitutto vibrazione. Mi spiego meglio: noi risuoniamo davvero con la Musica. Scrivendo un brano si instaura un rapporto di risonanza con il suono, in cui il limite tra chi crea e ciò che viene creato quasi scompare. È un processo d’influenza reciproca. La Musica è anche un mezzo per esplorare ciò che ancora non conosco di me, in tutti gli angoli della persona. È un modo per ascoltarmi, per tracciare la mappa di ciò che sono. È anche apertura verso l’esterno, verso altre esistenze, mezzo di connessione verso altri luoghi da cui arrivano nuove informazioni. Tratto la Musica con massima devozione. Credo nella sua sacralità come forma di rappresentazione dell’Universo e di qualcosa che va oltre noi. Credo che in essa (mi riferisco a musica e strumentazioni particolari) ci sia la chiave per evolverci.

Quali sono state le muse ispiratrici che hanno formato la tua coscienza musicale, i tuoi gusti e la tua voglia di fare musica?

I riferimenti principali si trovano nel panorama post rock, nell’ambient e negli autori neoclassic. Mogwai, Hammock, Brian Eno, Goldmund, Tim Hecker, Max Richter, Jóhann Jóhannsson, ma anche l’elettronica di Jon Hopkins e Ben Frost, Forest Swords, Max Cooper, Rival Consoles, Fever Ray. Ce ne sono veramente tanti, l’elenco sarebbe troppo lungo.

So che sei uno dei tre membri del progetto The White Mega Giant. La loro strumentalità si avvicina alla matrice di ricerca del suono che è quella del tuo album “17”. Ti va di raccontarci come è sorta la volontà di intraprendere un cammino tutto tuo?

La ricerca e il lavoro sul suono sono componenti fondamentali alla base sia del progetto con la band sia del mio lavoro solista. I risultati ovviamente sono diversi e determinati dagli strumenti che si utilizzano, dal modo in cui nasce un brano e da come ci si lavora poi. Mi è sempre piaciuto buttare giù idee e registrarle per conto mio. Lo facevo prima di partire con i The White Mega Giant e ho continuato a farlo parallelamente all’attività della band. Con “17” ho voluto esplorare personalmente nuovi sentieri abbandonando quello più consolidato del post rock. Per farlo ho messo da parte gli strumenti caratteristici di quel genere a favore di sonorità più eteree e concettuali.

Il parallelismo dei due progetti ha un qualche impatto sulle tue performance live?

Comparando le due tipologie di live devo dire che l’impatto e l’effetto sono completamente diversi sia per le sonorità proposte sia per l’impatto scenico. I The White Mega Giant proponevano un concerto nel senso canonico del termine. Il live di Alley è uno show ai confini con l’installazione, perché la musica e i visuals creano uno spettacolo immersivo e unico. Per quanto mi riguarda, sono esperienze molto diverse, entrambe coinvolgenti.

Venire alla luce con un album come “17” presuppone una profonda ricerca interiore, che va oltre se stessi. Che peso ha avuto la tua città, Padova, nella costruzione dell’impalcatura musicale che hai scelto? Più in generale, esiste un luogo che ha catturato particolarmente la tua attenzione che ha poi generato il seme del disco?

Padova in sé non è stata determinante per la scrittura di “17”. Per rispondere alla tua domanda posso dirti che sono un tipo di persona che si sente un po’ a casa ovunque e in nessun posto. Una persona che ha voglia di vedere questo pianeta come se ci fosse arrivato solo qualche ora fa. Quindi, sicuramente, il primo luogo in cui cercare è dentro di me. Poi, estendendo i confini geografici della mia localizzazione, ci sono panorami, altitudini e profondità che hanno delineato i profili di “17”. Nel disco ci sono alcuni field-recording presi in Islanda (ad esempio in “Airport”), le balene, le luci, il freddo dell’alba a Machu Picchu, le altezze e i silenzi delle Ande. Ma molti semi si trovano anche in Italia. Spesso sono le immagini dei posti in cui vado che portano ai suoni. È un po’ come scrivere la colonna sonora di quelle immagini e di quei momenti.

Come mai proprio la scelta del classico da mescolare all’elettronico?

Edgard Allan Poe ha scritto in un suo racconto: “vi sono corde che non possono essere toccate senza provocare un’emozione”. Piano e archi sono strumenti che sanno elevare ed ispirare, permettendo di toccare i giusti tasti dell’anima. Hanno sempre avuto un enorme fascino su di me. In un attimo riescono a portarmi in uno stato di assoluta presenza, qui ed ora, come si sente spesso dire. Potrei ascoltare per ore anche solo una nota di violino…

Davvero?

Certo! È successo mentre scrivevo alcuni brani. Quel suono mi scava dentro piacevolmente e per me è facile e naturale andargli dietro. L’elettronica permette di trasformare qualsiasi cosa e gestirla come fosse materia duttile, nel mio caso un suono, e a quella materia si possono aggiungere ulteriori informazioni. Nella sintesi, si può partire da un suono e arrivare a uno completamente opposto e trovo che questa sorta di co-creazione sia davvero affascinante. Mi permette di trovare la giusta forma nella quale voglio rappresentare qualcosa. Si possono travalicare i confini, andando oltre.

“Ex Nihilo”, ovvero “Dal Nulla”, è la traccia che apre il tuo lavoro. Che dimensione assume la complessità della ricerca artistica quando la traduci sul palco?

In un live set la ricerca continua, permettendo di inserire in un brano qualcosa che vive esclusivamente in quel momento. Nel mio modo di suonare live il tutto si traduce in un gioco di equilibri, a volte molto sottili. Questi portano ad arricchire il pezzo o, in altri casi, a dare delle pennellate di colore e sfumature un po’ diverse. Inoltre, come dicevo prima, gran parte della ricerca viene resa visibile attraverso i visuals.

Qual è il regista vivente a cui proporresti una tua soundtrack? E quello non vivente?

Sicuramente Cristopher Nolan e Stanley Kubrick. Entrambi hanno messo la firma ad alcuni dei miei film preferiti con relative colonne sonore d’eccezione. Mi piacerebbe molto lavorare a qualche episodio di “Black Mirror”, sarebbe fantastico!

“Alley”, ovvero “ vicolo, viuzza”. Perché?

Alley è un nome che c’è stato fin da subito. In parte perché suonava bene, in parte perché il vicolo rappresenta il passaggio, la connessione da una parte ad un’altra. Quando attraversi un vicolo, spesso ti trovi davanti ad un bivio, o una piazza, devi prendere delle decisioni su dove andare e da lì ricomincia tutto. E chissà dove porterà…

Domanda di rito: il concerto che non puoi assolutamente perdere.

Jon Hopkins. Condivido molto del suo pensiero come artista, mi piace quello che fa e spero di vedere presto un suo live.

Progetti e live o tour futuri?

Per quanto riguarda i live sto mettendo a calendario un po’ di date sia entro l’anno che per il 2019. È importante per me trovare giusti spazi che possano ospitare lo spettacolo “A/V”. Ci sono altri progetti e collaborazioni all’orizzonte ma per ora non vi anticipo troppo. Ad ogni modo pubblicherò tutti gli aggiornamenti sulla mia pagina Facebook. Stay tuned!

Ti lascio andare. Prima però, ti chiedo di salutare i lettori di Music.it con una chicca, un aneddoto, qualsiasi cosa tu voglia comunicare e che non ci hai ancora detto.

Approfitto di questo spazio per ringraziare New Model Label e Niafunken per aver creduto in me e nel mio progetto. Grazie a Valeria Salvo per la realizzazione dell’artwork di “17” e per aver curato la parte visual del mio live set. Un grazie particolare a te per questa bellissima chiacchierata e un saluto a tutti i lettori di Music.it!

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