Ciao Belladonna, cominciamo subito con la nostra domanda d’apertura. Avete in serbo per noi un bel racconto imbarazzante capitato durante la vostra carriera musicale? Insomma, un evento che è rimasto indelebile nella vostra mente.
Ciao, innanzitutto grazie per questa intervista!! Ce n’è uno in particolare che riteniamo indelebile. Avevamo appena suonato al SXSW festival in Texas, era il 2009 – specifico l’anno perché è rilevante in quanto a quei tempi non era ancora esplosa la selfite e dovevi chiedere a qualcuno di scattarti una foto – e avevamo appena incontrato gli Steel Panther con cui avevamo suonato qualche giorno prima a Los Angeles e volevamo farci una foto assieme. Così chiesi ad un ragazzo biondo nei dintorni di scattarla. Mi disse di non essere un bravo fotografo e che per sicurezza era meglio fare più tentativi… una persona gentilissima e anche molto paziente durante le digressioni tra uno scatto e l’altro. Finita la session fotografica il nostro batterista mi ha chiesto: «ma come mai hai chiesto a Justin Hawkins dei The Darkness di farti le foto?».
Nati nel 2005, avete saputo sfruttare il web per ampliare il vostro pubblico. MySpace, insomma, è stato il vostro primo grande palco. Ad oggi, però, avete chiuso la vostra pagina Facebook. Come dovrebbe essere il vostro social dei sogni?
Moltissimi musicisti rimpiangono MySpace. Erano i tempi d’oro del passaparola, dove la tua musica poteva arrivare alle persone senza dover sponsorizzare, ovvero pagare, i propri post. MySpace aveva una classifica interna delle band più ascoltate – ascolti determinati solo dal passaparola – e noi eravamo fissi nella Top 100 delle band indipendenti di tutto il mondo, circa 2 milioni di gruppi in totale. Le cose sono profondamente cambiate da allora e la rete in generale è diventata un luogo classista in cui ti fai strada più che altro con investimenti economici. È triste pensare che musicisti bravissimi non hanno alcuna chance senza avere un grosso budget. Quindi non sappiamo, sicuramente un social dei sogni è ciò che abbiamo visto nascere e morire: MySpace.
Poco tempo fa è stato caricato su YouTube il vostro ultimo lavoro: il videoclip di “Astronomer of Life”. Avete scelto di coniugare una celebre scena del film “Stalker” di Andrej Tarkovskij con la vostra musica. Quanto l’immagine cinematografica può dare spessore e significato alla parte musicale?
Non siamo dei folli amanti dei videoclip…i video hanno sottratto molto al lato immaginifico della fruizione della musica. Il significato di una canzone diventa, in qualche modo, vincolato da ciò che propone il video, perché le immagini hanno la meglio sulla musica (è un fatto naturale). Così, quando ci è tornata in mente la scena finale di “Stalker” e quando abbiamo verificato che dei suoi momenti drammaturgici chiave erano magicamente sincronizzati con altrettanti momenti drammaturgici della canzone (senza contare che scena e canzone hanno la stessa durata), abbiamo pensato a come si potesse creare una doppia direzionalità: dalla scena alla canzone e viceversa. Se è vero che l’immagine cinematografica dà un certo spessore alla canzone, è vero anche il contrario: quella stessa scena può essere riletta alla luce della canzone. Ci piace pensare che il fruitore sia libero di creare un nuovo personale universo di significati grazie a questa associazione.
Come band rock noir siete molto apprezzati all’estero. L’Italia resta un mercato più chiuso al vostro genere?
Sicuramente non aiuta esprimersi in lingua inglese in Italia. Come non aiuta non fare un tipo di musica che va di moda. E forse coloro che ci ascoltano in Italia appartengono a quella cerchia di persone a cui non importa niente delle tendenze o di sentirsi attuali e alla moda.
Il vostro sesto album, “No star is ever too far”, punta sull’artigianato musicale. Bannati effetti speciali, autotune. In un mercato musicale sempre più alla ricerca della perfezione tecnologica del suono, quanto la presa diretta, lo studio, la ricercatezza di uno stile preciso, vengono capiti e apprezzati dal pubblico?
A dire il vero tutti i nostri album sono stati realizzati così, in session live e cariche di intensità, registrati come se fossimo nel 1973. Riteniamo che il rock sia un’espressione artistica viscerale e primordiale, e quindi non riproducibile se non con tecniche di registrazione viscerali e primordiali. E no, non ci siamo mai chiesti come il pubblico avrebbe reagito ed è bene non domandarselo mai. Nessuna critica potrebbe comunque mai spingerci a snaturarci e cambiare le carte in tavola… continueremmo a fare ciò che vogliamo fare e abbiamo sempre fatto. Quindi, rispondendo più direttamente alla tua domanda, non sapremmo dire in che misura la nostra musica viene compresa, ma sicuramente ci rende felici sapere che per alcune persone sia emozionante proprio così com’è.
Nelle vostre performance live, quanto organizzate la scaletta secondo un preciso ordine, con l’intento di comunicare un preciso messaggio o dosare l’energia da dare al pubblico?
Sicuramente un concerto è un rito che deve avere un suo crescendo drammaturgico, ma noi cerchiamo comunque di cambiare la scaletta il più possibile, e soprattutto nei nostri concerti ci sono sempre molti momenti di improvvisazione pura, dove tutto può accadere… anche qui come se fossimo nel 1973, quando un simile approccio live era la norma.
Se doveste duettare con un’altra band italiana, chi scegliereste e perché?
Sceglieremmo sicuramente i Lacuna Coil, non per l’amicizia che ci lega e neanche per il genere (visto che, diversamente da noi, loro fanno metal)… bensì perché nutriamo nei loro confronti una profondissima stima artistica.
L’interrogatorio finisce qui. Belladonna, avete la possibilità di chiedere qualcosa al nostro pubblico. Una curiosità, un consiglio o tra quanto passa l’autobus. A voi la scelta.
Secondo voi nella fisica quantistica è giusto parlare di “collasso della funzione d’onda” o di “decoerenza”?