1914, isola di Capri. La giovane capraia Lucia (Marianna Fontana, una delle gemelle divisibili di Edoardo De Angelis) è un’autentica figlia della propria terra. Forte della propria identità isolana e arcaica, la ragazza comincia ad essere attratta da una comune di giovani nordeuropei dediti al naturismo e alla spiritualità e che lì in mezzo al Mediterraneo hanno trovato un luogo ideale di ricerca artistica e spirituale. L’attrazione per il gruppo è sempre più forte, a tal punto che Lucia arriverà a mettere in discussione la propria esistenza, la propria famiglia e il proprio posto nel mondo. Intanto la guerra è alle porte.
Mario Martone allegorizza i personaggi, facendo di ciascuno di essi il simbolo di tutte le forze nascenti o morenti dell’Europa di inizio secolo.
La vicenda, sceneggiata dal regista con sua moglie (Ippolita Di Majo), è l’occasione per raccontare una realtà semisconosciuta. Quella dell’isola partenopea che nei primi anni del ventesimo secolo era diventata la culla di cambiamenti più o meno epocali. A Capri trovavano rifugio rivoluzionari comunisti, filosofi e artisti riusciti a innestarsi nel territorio come una specie estranea, prefigurando collettivi pratici e teorici che l’Europa vedrà svilupparsi sulla terraferma molti anni dopo. Su questo sfondo etnografico affascinate, poliglotta e poco noto, Mario Martone impianta la propria finzione appoggiata su una storia sfiancata, mal sviluppata e dal potenziale soffocato. Risulta chiarissimo che la protagonista Lucia è una figura che esorbita se stessa, personificazione ultra corporea e ultra personaggio incarnante desideri e possibilità di emancipazione tutt’altro che personali.
Mario Martone allegorizza i personaggi, facendo di ciascuno di essi il simbolo di tutte le forze nascenti o morenti dell’Europa di inizio secolo. La capraia ventenne corre al di qua e al di là del paesaggio geografico e storico, scissa tra gli arcaismi della tradizione e le novità portate dal mare, divisa tra Spirito e Materia; e se il capo della comune decanta il potere rivoluzionario dell’arte (e della danza), il medico condotto (Antonio Folletto) si fa portavoce di un altro versante utopico, quello socialista.
“Capri-Revolution” sorvola i propri punti di forza come se non ci credesse mai veramente, affascinato da se stesso fino a farsi confusionario.
Lucia, la protagonista di “Capri-Revolution”, è analfabeta ed è cresciuta in una famiglia e in un mondo patriarcale (di cui i due fratelli maggiori sono i rappresentanti). Ciononostante, la giovane è aperta al nuovo senza riserve o, se ne ha, è presto disposta a liberarsene sdraiandosi nuda sulle rocce. Impara a leggere e scrivere, ingorda delle possibilità di riscatto, piccoli e grandi, che i giovani “diavoli” nudi le concedono pacificamente. Ogni novità è ben accetta, ma Lucia non manca di coscienza critica e è quindi capace di distinguere e selezionare le offerte del mondo. La giovane capraia muta pelle, si sveste senza rinnegare se stessa ma addiviene a ciò che era sempre stata.
Purtroppo, Mario Martone si concede dilatazioni teatrali ambiziose, finendo per non cogliere quali tra i tanti spunti di riflessione avrebbero meritato di essere approfonditi, preferendo intrattenersi in estetismi e descrizioni fugaci. Il regista manca di cogliere quel potenziale che se ne sta nascosto nei territori di scontro affiancati e prospicienti. Su tutti, le presumibili conseguenze delle scelte della protagonista per i rapporti tra le madre (Donatella Finocchiaro), i fratelli e la gente caprese. “Capri-Revolution” sorvola i propri punti di forza come se non ci credesse mai veramente, affascinato da se stesso fino a farsi confusionario e ammucchiato. Sul versante dei difetti anche una certa dose di artigianalità nella lingua e nella recitazione. Senza infamia, ma soprattutto senza lode.
https://www.youtube.com/watch?v=bXtER5DSd7c