Vedere il nuovo “Halloween” di Gordon Green significa cancellare i sette sequel successivi l’originale del 1978, e il notevole remake di Rob Zombie. Myers si ritrova in un istituto psichiatrico di massima sicurezza sotto le cure del dottor Sartain, convinto di una sua redenzione. Durante il trasferimento in una nuova struttura, qualcosa va storto, e il possente assassino riesce a fuggire. Nel frattempo Laurie Strode, ancora turbata dai macabri eventi passati, si è costruita un abitazione “a prova di Myers“. Sua figlia e il genero, proprio per questa sua ossessione, cercano di mantenere le distanze dalla donna. La giovane nipote Allison (Andi Matcichak), sembra essere l’unica a provare affetto e compassione per il suo stato fisico e mentale. Durante la notte di Halloween del 2018, Myers e Laurie finalmente si ritroveranno faccia a faccia in uno scontro alla pari.
Diversamente dall’ottima prova data da Guadagnino con “Suspiria”, l’approccio a “Halloween” di Gordon Green non è pienamente soddisfacente.
“Un mostro ne crea un altro”. In questo nuovo capitolo, Gordon Green lavora su due livelli contrapposti ma d’intersezione. Sul fronte narrativo tende a dare un nuovo sviluppo ai personaggi originali, mostrandoci una Laurie Strode assetata di vendetta quanto il suo carnefice. Da quello visivo, fa un continuo gioco nostalgico, basato sulla citazione e il recupero di stilemi caratterizzanti il cult di Carpenter. E proprio da questa prospettiva che il suo Halloween non brilla del sensazionalismo aspettato. Dove troviamo una trama abbastanza carica di nuovi spunti, non arrangiata, e dove si evince un potenziamento narrativo sagace, la regia di Gordon Green non segue lo stesso avanzamento.
Diversamente dall’ottima prova data da Guadagnino con “Suspiria”, l’approccio all’horror di Gordon Green non è pienamente soddisfacente. Fatta eccezione per alcune sequenze degna di nota, come l’arrivo di Myers nella cittadina, dove seguiamo in continuità il serial killer divincolarsi tra le abitazioni in festa. Nel resto del film la continua serie di jump scares e di soliti topoi horror, sono così preponderantemente usati da cadere nel macchiettistico.
Indubbiamente si desume quanto Gordon Green conosca il cinema di Carpenter, sia formalmente quanto concettualmente, inserendo anche delle riflessioni care al vecchio regista, come l’inesistenza della redenzione, e del male visto come una malattia innervata nella società. Ma proprio perché ci troviamo davanti un regista formato, questa scelta ricaduta su un citazionismo trattato superficialmente, non dà ad “Halloween” la giusta vivacità che avrebbe meritato. L’horror non è per tutti, e David Gordon Green, in parte, lo ha confermato. Di traverso, conferma le sue buone capacità di sceneggiatore, conferendo a Laurie Strode il dovuto spessore.