La regista Francesca Caprioli in una foto di Mario Lanini.
La regista Francesca Caprioli in uno scatto di Mario Lanini.

FRANCESCA CAPRIOLI: “È fondamentale riscoprire il rito catartico del teatro”

Diamo il benvenuto a Francesca Caprioli su Music.it. Cominciamo dal tuo ultimo lavoro. Cosa ti ha avvicinato a “È un continente perduto”?

C’è sempre un libro a casa che hai dentro lo scaffale, quello impolverato che dimentichi. Stava lì, “La casa del sonno”. Un giorno mi è capitato per le mani, ho letto la quarta di copertina e per qualche motivo sono rimasta catturata. C’è qualcosa nella malinconia della storia, dei personaggi, che mi appartiene. C’è nel linguaggio semplice del romanzo una complessità di intenti e di contenuti incredibile. C’è la paura della solitudine e allo stesso tempo l’amore totale per il vuoto. Sono rimasta attaccata alle pagine e ai personaggi come si resta attaccati a un album di fotografie.

Come hai lavorato su una drammaturgia che parte da un testo denso e complicato, pieno di piani paralleli, poi intrecciati, poi infinitamente divergenti?

Lavorare su piani differenti è sempre stata la grande sfida nelle mie regie, ma questa volta ha assunto decisamente un carattere arduo. Come si raffigura il pavimento emotivo del testo? Come si raffigurano le emozioni? Soprattutto quelle emozioni iridescenti come la nostalgia, la malinconia e la tenerezza, quelle che basta un movimento e non brillano più. Ho pensato che dovevamo lavorare a un livello subliminale con il pubblico, portare pian piano qualcosa dentro lo spettatore, che non deve capire ma deve aspettare, proprio come un personaggio. Quale, in effetti, è.

Quale metodo di lavoro hai seguito?

Ogni testo, ogni avventura, porta con sé un metodo. Cerco sempre di non fossilizzarmi su una metodologia prestabilita, perché credo che sia fondamentale lasciare al testo, o meglio al tema, il messaggio emotivo che plasmi il lavoro. Ci sono spettacoli che richiedono caos, spettacoli che richiedono silenzio. La cosa sempre importante, tuttavia, è il gruppo di lavoro: creare un gruppo solido, forte, che si fida e non si affida. Lavorare con attori critici e nello stesso tempo duttili. In poche parole, lavorare con attori intelligenti. C’è tanto anche delle loro storie dentro “È un continente perduto”, lo sento, da qualche parte ci hanno nascosto tanto di loro anche se non glielo ho mai chiesto.

Qual è il rapporto fra la parola, l’immagine? Fra la drammaturgia e la regia?

Il teatro è fatto di immaginazione, non di immagine. Questa è una distinzione fondamentale per me, il teatro fatto solo di immagini è una risposta furba e svogliata a uno stimolo emotivo. E l’immaginazione è luce, musica, cuore e parola. E certo, anche immagine. Quello che lo spettatore nota come primo impatto è sì una forma, ma quello che deve rimanere è il contenuto della forma notata. Altrimenti c’è un errore.
La drammaturgia e la regia sono due rette parallele, l’una è il contrappunto dell’altra. Si inseguono, si affiancano e si spiegano, lasciando però sempre uno spazio tra loro, lo spazio che è solo dello spettatore e dell’attore. Lo spazio dell’interpretazione.

Sguardo al futuro di Francesca Caprioli. Quali sono i tuoi progetti artistici? Qual è il tuo progetto di teatro? Dove, a chi, a cosa ti piacerebbe portare la tua arte?

Sogno di una vita: vorrei finire di scrivere un romanzo che ho in testa da un po’. Dove deve portare la mia arte? Se lo sapessi avrei probabilmente smesso di farla. Deve portarmi in quei luoghi dove non è possibile arrivare se non volando. Deve portarmi a superare i miei limiti e a pormi nuovi limiti da superare. Il teatro che cerco di portare avanti è un teatro etico, prima che estetico, un teatro che parli veramente allo spettatore di temi importanti. Un teatro sociale, se per sociale si intende umano, universale, e per questo profondamente politico. Credo che sia fondamentale riscoprire il rito teatrale come rito catartico, credo sia importante adesso più di sempre riscoprirsi capaci di stare al buio senza tossire e senza disagi, per guardare e sentire altre persone raccontarci i nostri segreti.

Salutiamoci con uno sguardo al passato, come ne “La casa del sonno”. Un piccolo gioco. Chiudi gli occhi e pensa Francesca Caprioli a teatro, da bambina. Cosa vedi?

Vedo me a tre anni nel giardino di casa mia vestita da sposa con un improbabile lenzuolo bianco e con in mano due marionette, che forse sono Stanlio e Olio o forse sono Totò e Cenerentola, non ricordo. Me le hanno regalate quel giorno i miei genitori. Forse perché ho avuto la febbre e ho fatto le punture. Me le sono appena messe dentro le mani e mi sono spaventata perché ho paura che le mani non torneranno più, che siano diventate delle persone che si muovono.

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