Una scena de “Il castello di vetro”.
Una scena de “Il castello di vetro”.

IL CASTELLO DI VETRO racconta la storia vera di una famiglia particolare

Il cinema statunitense si sente sempre più a suo agio nel raccontare i pregi e i difetti della famiglia disfunzionale. Nel 2016 “Captain Fantastic” ha riscosso molto successo in tutto il mondo e rappresenta un caso esemplare di questa tendenza. Nel film di Matt Ross, con protagonista Viggo Mortensen, si celebrava apertamente il valore della non convenzionalità, che a volte però risultava inadatto alle esigenze di un bambino. Allo stesso modo “Il Castello di Vetro” narra la storia di una famiglia unita ma anche isolata dalla società, in cui i più piccoli sviluppano una disperata esigenza di abbandonare la casa natia. Questa volta il ruolo del padre è svolto da Woody Harrelson e, oltre al suo stile di vita stravagante, è caratterizzato da un grave problema di alcolismo. Proprio l’alcool si dimostrerà un ingrediente fatale all’interno di un contesto familiare già di per sé instabile.

Il castello di vetro è letteralmente la casa che Rex Walls aveva progettato per i suoi figli, che diventa il simbolo di tutte le promesse che ha poi disatteso.

Ecco allora il perché del titolo. Il castello di vetro è letteralmente la casa che Rex Walls aveva progettato per i suoi figli, che diventa il simbolo di tutte le promesse che ha poi disatteso. La storia della famiglia Walls è tratta dal romanzo autobiografico della secondogenita Jeanette, diventata da adulta una scrittrice di successo. Per ricostruire l’intera raccolta delle sue memorie, il regista Destin Daniel Cretton apre il film con una Jeanette in carriera, fidanzata inoltre con un ricco economista. Mentre la donna conduce la sua vita agiata a New York, i genitori rovistano nei secchioni dell’immondizia e disprezzano risolutamente la ricchezza. I loro stili di vita sono precisamente opposti.

Jeanette, interpretata da Brie Larson, è la classica figlia che allontana inizialmente la figura paterna ma col tempo sceglie poi di riaccoglierla. Gran parte del film è dunque una rielaborazione del suo passato con lui, che si divide in alcuni momenti di vicinanza e molte brutte esperienze. L’infanzia della donna è restituita attraverso lunghi flashback che intervallano il piano del presente in maniera abbastanza monotona. Il più grande punto debole de “Il Castello di Vetro” è proprio in questa scelta strutturale, che semplicemente accosta più o meno casualmente le due linee narrative. La situazione si vivacizza solamente sul finale, quando il montaggio si fa più serrato e funzionale alla caratterizzazione emotiva dei personaggi.

È evidente che il primo obiettivo de “Il Castello di Vetro” sia tradurre sullo schermo una vicenda reale attraverso una narrazione molto semplice.

È evidente che il primo obiettivo de “Il Castello di Vetro” sia tradurre sullo schermo una vicenda reale attraverso una narrazione molto semplice. Non è presente una particolare ricerca stilistica o tematica. Ci sono un padre disastroso e una figlia che riflette a posteriori su quello che di buono c’era nel loro rapporto. Da questo punto di vista il film risulta un dramma abbastanza banale ma di certo ben fatto, che riesce a restituire il sentito saluto di Jeanette Walls a suo padre. In questo ha svolto un ruolo fondamentale il cast, in particolare il trittico formato da Woody Harrelson, Brie Larson e Naomi Watts, nel ruolo della moglie Mary. Complice anche una buona scrittura dei protagonisti, i tre sono in perfetta sintonia e si assumono la responsabilità di far girare il racconto.

Laddove non c’è la regia ci sono i personaggi. “Il Castello di Vetro” si potrebbe banalmente riassumere in questi termini. A quanto pare la vera storia di Jeanette è per sua natura un classico dramma di Hollywood e rispetta tutti i topoi del caso. È sempre strano osservare come una storia reale si specchi così fedelmente nei canoni di un genere di finzione, ma del resto a noi spettatori non è dato sapere quanto o come i fatti siano stati romanzati. Personalmente ho sempre apprezzato maggiormente quelle ricostruzioni che rappresentano la realtà per vie traverse, deformando o ribaltando il fatto realmente accaduto. Ma non tutti i film biografici devono avere questa ambizione. “Il Castello di Vetro” riporta delle memorie, e le foto conclusive dei reali protagonisti ci confermano che il film è effettivamente la testimonianza che Jeanette voleva conservare della sua strana famiglia.

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