Un’opera che segue i caotici moti dello spirito, cercando un punto di approdo, appunto “La ricerca della quiete”. Leptons con questo suo terzo album dà prova di continuità e ricerca interiore; come per necessità, qualcosa che nasce da dentro ed ha bisogno di fuoriuscire. E quale miglior modo, se non quello di mettere nero su bianco, le note sul pentagramma, per dare voce a questo spirito? Un roboante silenzio che si nutre di parole sommesse e di un plurilinguismo che supera i limiti dell’usuale; infatti, si affiancano l’inglese, l’italiano e – qui la grande novità – una lingua inventata.
Un viaggio psichedelico, un’opera che segue i caotici moti dello spirito, cercando un punto di approdo, appunto “La ricerca della quiete”
Il silenzio, dunque, è nel vuoto delle parole: «Le parole scorron tra di noi, capriole le saltano», «e il silenzio non chiede parole questa è l’unica certezza. Un silenzio senza dignità». Così Leptons canta in “Le parole scorrono”, ed è dalla vanità delle parole che nascono i suoni, un nuovo linguaggio. A dare il via a “La ricerca della quiete” c’è “Canto di lavoro” e sembra di ascoltare un canto di iniziazione, primordiale, come un rito. «Ci fabbrichiamo dei rituali, delle sfide eppure questo non ci basta».
Nel brano “Great Escape”, invece, fanno incursione beat elettronici e loops, oltre alle consuete chitarre e i cori psych, fil rouge dell’album. Il caos interiore fa da contraltare all’incessante ricerca di un equilibrio. Possiamo affermare che il polistrumentista Lorenzo Monni in “La ricerca della quiete” ha aggiunto un importante tassello lungo la via della sperimentazione. Dopo la tempesta ci sarà sempre la quiete e forse possiamo prendere questo come messaggio lanciato dall’artista. Dunque cercare, indagare, sperimentare, per trovare pace ed acquietare le distorsioni della vita.