Diamo il benvenuto a Luca Jurman sulle nostre pagine! Iniziamo parlando un po’ del passato. La sua carriera inizia con la musica Jazz, ricorda il momento in cui effettivamente si è reso conto che la musica sarebbe stata la sua compagna di vita oltre che il suo lavoro?
Lo ricordo benissimo perché è stato il motivo della mia più grande litigata in famiglia, più con mia madre che con mio padre; io arrivo da una famiglia colta ma umile e l’idea che facessi il musicista (il ‘morto di fame’ come si pensava allora) in quel periodo storico, negli anni ’70, non era stata accettata bene. A quel tempo al musicista si associava l’idea di una vita da drogato o da alcolizzato. A me piaceva il mondo del jazz e i più grandi jazzisti della storia erano comunque conosciuti anche come eroinomani e comunque come persone che facevano uso di droghe, specialmente i jazzisti di colore degli anni 30, 40 e 50.
Mia mamma, giustamente, aveva questo terrore e mi ricordo che ci fu una litigata pazzesca perché io decisi di non voler fare più nessuna scuola, se non il conservatorio, a costo di sostenere lo studio a mie spese. A 4 anni e mezzo iniziai a studiare pianoforte perché i miei si erano accorti che c’era qualcosa di particolare nel mio interesse verso la musica, poi durante le scuole medie inferiori presi la decisione di studiare solo musica.
Un inizio travagliato insomma. Poi cosa è successo?
Quando intrapresi il percorso musicale, decidere tra il classico e il jazz è stato molto difficile inizialmente, poi mia madre si ammorbidì subito quando debuttai a 13 anni nei più importanti locali jazz di allora a Milano e uscirono articoli sul Corriere della Sera e altri giornali. Frequentavo allo stesso tempo la scuola di Sante Palumbo e Franco Cerri, l’accademia che c’era in Corso Venezia a Milano.
L’idea di essere un musicista di strada o piano bar non m’interessava, non erano i soldi il mio interesse, ma solo la musica. Non avevo l’idea che oggi invece ha un ragazzo a quell’età che spesso pensa alla musica come alla fama o alla televisione. Era proprio l’esatto contrario. Volevo fare storia con la musica, vedevo che molti musicisti erano poveri e venivano ricordati solo post mortem e io addirittura non avevo paura della morte da ragazzino perché pensavo che sarei diventato famoso dopo la mia morte.
Un bel salto generazionale.
Non pensavo ai soldi, ma al riconoscimento artistico di quello che volevo fare io. Il mio sogno era sempre il palco, non l’acclamazione, ma il palcoscenico come punto da cui comunicare qualcosa al mondo, una visione che oggi non trovo facilmente e che invece è la visione base di tutti i musicisti storici che conosco e con cui ho collaborato.
Potremmo stare ore a parlare delle centinaia di collaborazioni e lavori che l’hanno portata ad essere conosciutissimo in tutta Italia, ma le chiedo, c’è qualcosa che rimpiange di aver effettivamente fatto? Un lavoro che l’ha portata a dire “Forse questo era meglio evitarlo”?
Non ho rimpianti, perché anche il lavoro più stupido che posso aver fatto è stata comunque un’esperienza, ma forse certi miei atteggiamenti di quando ero giovane, alcuni scontri che ho avuto da ragazzo, forse oggi li eviterei, cercherei di vedere le cose diversamente per arrivare a spianare un po’ di più il terreno per quello che volevo fare io, che è quello che voglio fare tuttora, cioè comunicare la musica e l’arte a 360° senza inutili opposizioni.
D’altra parte, crede che ci sia un momento della sua carriera che le manca particolarmente? O una delle sue opere o canzoni o produzione, che predilige rispetto alle altre?
Sono due domande diverse in realtà. Che mi manca particolarmente è sicuramente il palcoscenico, soprattutto in questo momento. La musica dal vivo mi manca molto. All’altra domanda rispondo che forse il disco a cui sono più affezionato e che ho di più nel cuore è “Live in Blue Note”, malgrado abbia fatto altre cose, perché è legato ad un periodo intenso di concertistica.
Ok, terminiamo con gli amarchord e passiamo al presente. L’attuale situazione di emergenza ci ha costretto a trovare metodi alternativi per impegnare le nostre giornate, lavorare e anche solo comunicare. Da questa esigenza nasce “Pillole di Canto”. Lascio a lei l’onore di raccontarci di cosa si tratta. Come nasce l’idea di dispensare queste pillole di canto, in diretta e senza alcun tornaconto?
‘Pillole di Canto’ è una mia decisione di divulgare le scoperte sulla tecnica del canto moderno che sono il frutto di un lavoro di oltre 30 anni; vorrei ripristinare degli equilibri e delle regole che sono fondamentali da comprendere in un mondo che sta disgregando ogni regola per renderlo accessibile a tutti, ma non è così che funziona.
Il bello è il bello e il brutto è il brutto, non si può dire che sia tutto uguale e soprattutto bisogna smetterla con questo buonismo inutile e esagerato che non fa bene alla società, non fa bene ai ragazzi di oggi, non fa bene alla formazione. Il mondo dell’arte, soprattutto il mondo delle arti eccelse, si basa su dei fondamenti che non sono modificabili così facilmente, perché si parla di alto valore estetico, alto valore culturale, alto valore comunicativo. Si usa questo aggettivo ‘alto’ non a caso, non si definisce ‘mediocre’, e per questo bisogna studiare, prepararsi e far in modo che il talento, che è la sola chiave d’accesso allo studio dell’arte, si possa formare.
È cambiato molto negli ultimi anni.
In questi ultimi anni anche le scuole di alta formazione sono diventate delle ‘scuolette’ che, pur di non perdere iscritti e continuare a sopravvivere, hanno dovuto abbassare il livello di preparazione e di formazione per poter accontentare tutte le richieste, invece di formare degli esempi da seguire. Non ci sono più esempi di alto livello da seguire, specialmente in Italia.
Ormai si possono trovare “scuole” anche online.
Il solo il fatto di pensare di trovare la soluzione di una scuola di alta formazione su YouTube fa già capire come la mentalità sia regredita; i grandi insegnanti non si trovano su YouTube, perché la lezione d’arte è tutt’altro, e non si fa tramite tutorial. Non esiste un tutorial che formi veramente un talento ad alti livelli, perché lo si deve preparare sotto tanti aspetti e singolarmente, secondo le peculiarità di ognuno. Per esempio, io sto lavorando online e ho trovato un sistema molto buono per lavorare online, ma è ovvio che prima o poi avrò bisogno del confronto fisico con l’allievo. Questo è fondamentale.
Da qui a “Pillole di Canto”, già il nome fa capire che non si tratta di una vera e propria scuola.
‘Pillole di Canto’ serve a far capire che cantare ad alti livelli è una cosa, e cantare a livello amatoriale è tutt’altra cosa; voglio far capire che la scuola di alta formazione funziona seguendo degli studi molto importanti e con un percorso ben impostato, ma alla formazione devono accedere i talenti. La musica è per tutti, ma non è fattibile da tutti, questo è fondamentale. Questa iniziativa mi sta portando un grande riscontro, che onestamente non mi aspettavo; trattare argomenti così difficili e vedere anche persone che sono digiune del canto e della musica o semplicemente appassionate alla musica, entrano in diretta Facebook il giovedì alle 21.30, ascoltano e poi mi scrivono per ringraziarmi, mi fa davvero piacere ed è un grande riconoscimento al lavoro che sto facendo, perché sono lezioni che sto tenendo gratuitamente, ma che in realtà avrebbero dei costi elevati perché sono delle ‘masterclass’.
Qual è lo scopo di questa iniziativa?
L’intenzione è di stimolare le persone a studiare, perché come ho scritto nel libro “Vocal Classes® L’Evoluzione nel Canto”, la musica è un linguaggio universale, vorrei che tutti lo conoscessimo. È ovvio che vorrei che ‘Pillole di Canto’ fosse la trasmissione ‘mastercalss’ per eccellenza dove almeno poter chiarire queste regole fondamentali del canto. È anche un modo di ripristinare gli equilibri e di sensibilizzare le trasmissioni, i talent, le radio, tutti i formatori, anche i commercianti del talento. Questo perché ci sarebbe sicuramente musica di tutt’altra qualità in giro in questo momento, e sicuramente se ne comprerebbe di più. Il pubblico non va trattato da ignorante e da stupido, perché quando al pubblico dai le ‘pillole’, le ingoia e impara. Il pubblico ha sempre imparato tutto, assimila, ha voglia d’imparare, ha voglia di conoscere e di capire.
A differenza di tante altre iniziative questa prevede, oltre che passare del tempo di qualità, anche un metodo di istruzione da parte di uno dei migliori vocal coach presenti sulla piazza. Quanto è importante quindi, anche in momenti come questo restare allenati e non fermarsi?
È soprattutto in questi momenti che non ci si deve fermare, anzi, si ha la possibilità di studiare di più e di creare qualcosa di diverso. Nei momenti di difficoltà bisogna creare l’esatto opposto, bisogna creare il più possibile. Non bisogna mai smettere di creare, perché quando si smette di creare si è già in declino psico-fisico. È come aver già deciso di arrendersi, di arenarsi. L’arte in questo momento ha bisogno di riprendersi, di ricostruirsi, di andare avanti e di evolversi. Evolversi verso quello che è sempre più elevato e più eccelso, anzi questo è il momento più importante.
Mi sembra più che sensato
Siamo in un momento difficile per l’arte, i soldi non devono diventare la priorità. L’artista di strada insegna che se canta bene, se suona bene, la gente si ferma e gli dà da mangiare, da sempre. L’altro che strimpella giusto per tirar su qualche soldo, non lo guarda nessuno, perché sta usando l’arte per un suo bisogno, non sta facendo arte per far star bene gli altri.
Per un cantante, specialmente un professionista, cosa potrebbe comportare lo stop dell’esercizio della voce per un periodo così prolungato?
Un danno molto alto, ma io penso che un cantante in questi periodi dovrebbe studiare di più, se è intelligente. È un momento in cui si può dedicare più tempo allo studio, portarsi un po’ all’avanguardia, modificare aspetti su cui ci si era arenati, cercando di imparare un po’ di più. Siamo in un paese in cui i grandi professionisti dicono che non bisogna imparare. Invece nel resto del mondo, da Beyoncé a Brian McKnight, tutti i più grandi studiano; l’Italia è l’unico Paese in cui studiare fa pensare che tu non sia capace di fare questo mestiere. È incredibile.
Vuole aggiungere qualche consiglio da dare ai nostri lettori per mantenersi attivi?
Questo è un momento in cui c’è bisogno di tanta buona musica. Smettiamola di andare in giro a cercare come arrivare alla casa discografica, come fare un inedito o un singolo, senza aver prima progettato il giusto modo di esporsi artisticamente o prima ancora di avere un’identità artistica. Pensiamo a sviluppare le nostre abilità e soprattutto a colmare le carenze che abbiamo. È il momento per poterlo fare. Tiriamoci su le maniche e andiamo avanti, perché tanto la musica, per ovvi motivi, non potrà mai morire.
Guardando al futuro, pensa che “Pillole di Canto” potrebbe rimanere un format attivo? Magari anche alla fine definitiva del lockdown assumendo una forma più concreta?
Lo spero. Spero che questa iniziativa interessi delle testate, delle persone e spero che ci sia la possibilità di andare oltre a questo. Andrò oltre il lockdown comunque, perché le “Pillole di Canto” sono partite con un’idea e dei fondamenti importanti. Sto portando avanti degli argomenti che avevo già trattato nel mio libro, ma che ora porto fuori dal libro, sia per tutto quello che riguarda il mondo del canto che della produzione. Il mio sogno sarebbe poter far diventare “Pillole di Canto” una trasmissione dove poter dare formazione culturale e allo stesso tempo anche giocare e parlare. Questo attraverso la bellezza della musica, di qualcosa di diverso in TV, che sia web o altro non m’interessa. L’importante è che ci sia la libertà di poter parlare senza costrizioni inutili e senza giochi inutili.
La ringrazio davvero molto per averci prestato il suo tempo e averci fatto entrare per qualche minuto nella sua vita e nel suo progetto. Se vuole aggiungere qualcosa le ultime righe sono tutte per lei. A presto!
Vorrei concludere con una massima sul talento:
‘Il talento non deve mai chiedere conferma di esserlo a nessuno, se non alla propria anima’.