È prossimo all’uscita il secondo album dei Mary Brain,“Light After Dark”, prodotto dalla Valery Rercords. Matteo Vicenzi, Andrea Ferrari, Nicola Palma e Andrea La Piccirella non sono artisti di primo pelo. Dopo aver ottenuto diversi riconoscimenti, sembra vogliano scrivere un capitolo importante della storia del rock.
Presentare “Light After Dark”, album firmato Mary Brain, non è semplice. Ho pensato di far finta di nulla, ma sarebbe disonesto nei confronti della band. Ci chiedono di non mettergli addosso nessuna etichetta, perché sono loro stessi a dirci come chiamarli.
Loro non suonano metal, né rock, né progressive. Loro fanno metarock. E qui rischiano di perdersi la maggior parte di potenziali ascoltatori. Infiocchettarsi con un filosofismo radical chic non è una buona operazione di marketing. “Light After Dark” non è commerciale e non è alla moda. I suoi potenziali estimatori oltre ad essere pochi sono perlopiù conservatori.
La “Light After Dark” arriva dopo un’ora. L’album si apre con “Anamnesis”, una traccia strumentale che dà appena un assaggio del sound che i Mary Brain porteranno avanti per i restanti 55 minuti. La linea compositiva segue una specie di cubismo geometrico. È come camminare all’interno di un quadro in cui la fattezza di un qualsiasi oggetto del mondo è stata chirurgicamente sezionata e ricucita in un posto inconsueto.
Il fatto che intere sezioni di melodia non siano dove dovrebbero stare non significa che non seguano una linea armonica precisa e consapevole. Le undici tracce di “Light After Dark”, oltre ad essere dei veri e propri capitoli di un’unica storia, sono anche delle prospettive da cui osservare il resto del quadro. Musicalmente parlando. Fuori da ogni metafora visiva, non si può fare a meno di apprezzare lo stile camaleontico e tentacolare dei Mary Brain.
Volendo chiudere un occhio, forse tutti e due, sulla parte dei radical chic che i Mary Brain si sono scelti, alla fine li ringrazi.
Il gruppo dà prova di un virtuosismo che non si appoggia solo sulla velocità di esecuzione, ma è rivolto ai timpani dell’ascoltatore. Con una formazione a quattro riesce a fare a meno di un eventuale synth che pure sembra presente. Le sfumature di noir che vengono toccato nell’arco di “Light After Dark” sono corredate da groove di batteria sentimentali. Un applauso sentito a Andrea Ferrari. In particolare in “The Ogre”, ci dimostra che il mero ritmo può essere caldo ed avvolgente tanto quanto un arpeggio di chitarra.
Volendo chiudere un occhio, forse tutti e due, sulla parte dei radical chic che i Mary Brain si sono scelti (ogni artista è padrone di sceglierne una), alla fine li ringrazi. “Light After Dark” non è per niente fashion, piuttosto old-fashioned. Come ogni manifesto che esprime di voler andare oltre, si porta dietro tutto quello che vuole superare.
Non credo che i Mary Brain volessero evitare di aprire un dialogo con l’hard rock, l’heavy metal, col progressive e, perché no, col doom. Le tracce che compongo “Light After Dark”, prima di farci vedere la luce non disdegnano sonorità provenienti da altri sottogeneri del rock. L’ascolto attento di “The Ogre” è didascalico anche da questo punto di vista.
Allora il meta che anticipa il rock sbandierato dai Mary Brain si carica di un significato meno artificioso e più naturale. Mi vengono in mente i doppi cognomi, postumi di una nobiltà in decadenza. Non è solo boria. È sentimento della fine, inscritto in un percorso che dal ricordo, attraverso la sofferenza, raggiunge infine la luce.
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MARY BRAIN
LIGHT AFTER DARK
28 settembre 2018
Valery Records
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