Una scena di “Penguing Highway”.

PENGUIN HIGHWAY grazie al fantastico parla con lucidità del quotidiano

Una ragazza compra una lattina da un distributore automatico e la lancia per attirare l’attenzione del suo piccolo amico Aoyama, un arguto ragazzino di dodici anni. La bibita comincia a deformarsi in aria e atterra trasmutata in un pinguino. Dopo circa 10 minuti di sobrietà narrativa, “Penguin Highway” schiaffa la svolta fantastica sul muso dello spettatore. Una tranquilla cittadina nipponica viene improvvisamente invasa dai pinguini e la causa sembra essere la bella Yuu, capace di fabbricare un’infinità di uccelli acquatici semplicemente tirando oggetti. Lei e Aoyama sono i due protagonisti del primo lungometraggio animato di Hiroyasu Ishida, che adatta per il grande schermo l’omonimo best seller vincitore del Japan SF Grand Prize. Il ragazzino ha due grandi passioni: la scienza e le enormi “tette” (come da buon anime) di Yuu. Egli dunque spende la maggior parte del suo tempo ad indagare con piglio empirico la natura e la propria sessualità.

L’atipica apparizione dei pinguini attirerà la sua attenzione tanto da fargli mettere in piedi una vera e propria ricerca sul campo, con l’aiuto di altri due suoi compagni di scuola. Con manuali naturalistici e quadernino per appunti alla mano Aoyama tenta di far luce sui numerosi enigmi che colpiscono la sua città natale. Ai pinguini si affiancheranno strani mostri deformi, sfere levitanti e fratture nello spazio-tempo. Per quanto assurdo, ogni evento viene sottoposto al rigido metodo scientifico abbracciato da Aoyama che, del resto, è dotato di intelligenza e atteggiamenti estremamente maturi per la sua età. Il bambino si diletta a giocare a scacchi e ha persino studiato la teoria della relatività, anche se non è sicuro di averla capita completamente. Proprio l’idea che tutto sia comprensibile è il presupposto che il film si diverte a distruggere, incasellando una serie di apparizioni folli e terribilmente inspiegabili.

“Penguin Highway” fornisce un grande esempio di cinema fantastico che riesce a parlare in maniera lucidissima di quotidianità.

Questo fa di “Penguin Highway” un racconto di formazione a tinte fantastiche che tuttavia gode di un’intensità drammatica totalmente realistica. Il regista presenta gli elementi pseudo-fantascientifici come fatti straordinari ma possibili e li conduce così nella sfera di ciò che esiste. Non ci troviamo di fronte a quel tipo di operazione, tanto in voga nel cinema occidentale, che impiega il fantastico come semplice veicolo della metafora. I pinguini non sono un sogno infantile, una fantasia o quant’altro. Sono un dato di fatto e nascono dalle lattine di gassosa. La loro presenza rimane un mistero, ma un mistero non più profondo di altri temi più familiari che vengono tirati in ballo nel film, tra tutti il sesso e la morte. Le sfere volanti e l’attrazione verso i seni di Yuu, per esempio, suscitano in Aoyama lo stesso tipo di curiosità e appartengono entrambi al regno dell’indecifrabile.

“Penguin Highway” riesce a miscelare con disinvoltura argomenti solenni e gag demenziali, seminando lungo il racconto qualche punta di ironia. Il film può così sbizzarrirsi in articolati viaggi concettuali e visivi senza apparire pretenzioso. La complessità dei temi trattati riesce incredibilmente a farsi semplice nel momento in cui tutte le direzioni della storia convergono su Aoyama e sulla sua maniera di vivere l’infanzia. Per descrivere questo periodo delicato il lungometraggio mette in scena una narrazione fantasiosa e credibile, uno spettacolo che accumula tante domande per poi lasciarle volontariamente irrisolte. Grazie dunque al progetto “Stagione degli Anime al Cinema”, Nexo Digital in collaborazione con Dynit porta nelle sale italiane un’opera davvero meritevole. “Penguin Highway” fornisce un grande esempio di cinema fantastico che, grazie all’ingegnoso impiego di ciò che è straordinario, riesce a parlare in maniera lucidissima di quotidianità.

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