Rossomalpelo è un piacere ospitarti sulle nostre pagine. Apro subito chiedendoti di raccontarmi l’esperienza che ti è rimasta più impressa durante tutto il tuo percorso musicale.
Grazie alla mia musica, e soprattutto grazie alle parole di alcune mie canzoni, ho potuto vivere diverse esperienze che rimarranno per sempre nei miei ricordi più intensi. La più forte è sicuramente legata al brano “Hula”, che è il grido di dolore di una prostituta. Scritto al femminile, è il mio umile omaggio a tutte quelle donne costrette, come schiave, a soddisfare il mondo maschile e criminale che le vuole ai bordi delle nostre strade, vittime silenti di violenze indicibili, oggetti di scambio sacrificabili delle guerre tra le bande che gestiscono il traffico della prostituzione. Quel brano, che è stato censurato dai canali radio della Rai, mi ha condotto, grazie alla sua diffusione nazionale, ad essere contattato da diverse organizzazioni che si occupano proprio di salvare le donne in quelle condizioni.
Un gesto davvero nobile.
I contatti sono stati per molti versi dei ringraziamenti, per la mia esposizione di fronte al fenomeno – esposizione in prima persona, come il testo di quel brano. Si è trattato di ringraziamenti e riconoscimenti da organizzazioni che agiscono nell’ombra, organizzazioni formate da persone che con coraggio incredibile, rischiando la vita, cercano, contattano e distolgono ragazze da quel mondo. Con una di queste organizzazioni in particolare, ho avuto rapporti più stretti, arrivando a fare un giro notturno insieme a loro. Non starò a raccontare quanto pericolo e quanta paura ho provato sapendo che qualcuno avrebbe potuto spararci contro. Quello che ho trovato incredibile è stato vivere quella dedizione, la volontà letta negli occhi a scapito di ogni possibile ripercussione personale. Ecco, quell’esperienza non mi abbandonerà mai, e non perché è stata forte, ma perché mi ha fatto sentire piccolo, nel mio mondo di artista, lontano da quelle strade vere.
La tua è una lunga storia fatta di diverse arti, dalla scrittura, al teatro, al cinema e ovviamente alla musica, e proprio in merito voglio chiederti: quali sono gli artisti che ti hanno ispirato maggiormente in passato o anche attualmente?
Non so mai cosa rispondere ad una domanda come questa. Di sicuro nessuno del mondo della musica. Potrei citare Straniero (pochi lo conoscono), potrei ricordare Piero Ciampi, Fabrizio De André, ma in realtà quello che mi ha sempre ispirato è stata la letteratura, la storia, la filosofia e la sociologia. Saggisti che si occupano della società, dell’evoluzione sociale, di quel movimento umano che è il cammino di ogni società. Quindi Pasolini, Gadda, Pavese, Pirandello, insomma tutto quello che ogni donna e uomo su questa terra può arrivare a leggere nella propria vita. La musica no, non mi ha mai veramente ispirato. Se poi invece considero la musica scritta, non quella contenente necessariamente dei testi, allora dico Musorgskij, Šostakovič, il blues e quasi tutto il jazz, compreso quello francese di Django Reinhardt. Questo non significa che io lo sappia suonare. Anzi, diciamo solo che amo la musica.
È uscito da poco il tuo ultimo singolo “Medio precario libero”, una canzone che ci racconta in maniera quasi ironica quella che è la situazione che vivono moltissimi Italiani in questo momento. Cosa ti ha spinto a questa critica sociale? Credi che la musica possa, nel suo piccolo, aiutarci ad uscire da questa situazione?
Per uscire da questa situazione ci vuol ben altro che la musica, e di sicuro non la mia. Ciò che conta veramente è riuscire a parlarne, a raccontare. Io credo fermamente che il racconto, il ricordo, la condivisione, valgano più di tutto. Inducono comunque a riflessione, all’unione negli intenti, a volte alla rivoluzione, che non deve essere armata, ma vissuta come strada altra riconducibile ad altro stile di vita. Il mio brano è un semplice pensiero, il mio personalissimo modo di affrontare ciò che ha significato per me vivere da precario.
Un qualcosa che hai vissuto, che senti ancor più vicino.
Quello che ha veramente fatto la differenza nella mia vita di “schiavo” è la presa di coscienza di quella condizione: non ne potevo uscire. Il lavoro è importante, ma non perché doni dignità. Questa è una falsità. La presa di coscienza mi ha dato dignità. Essere sicuro e conscio di una condizione che non poteva durare, quella mentale e fisica costrizione all’accettazione della condizione. Ecco, io mi sono rifiutato. Ho rifiutato me stesso come pensante e vivente in quella condizione, e ho avuto bisogno di vivere ogni possibile pausa come unica, assoluta e insostituibile. Il lavoro, che è solo un mezzo per arrivare ad avere uno stipendio, almeno per la mia condizione di lavoratore di basso livello, non posso lasciarlo, non posso rischiare, ma quando tocca a me e scelgo di vivere la pausa, non c’è nessuno in grado di intromettersi tra me e il mare.
Uno spirito libero.
Non esiste capo, superiore o ufficiale che sia in grado di distogliermi da quello che mi necessita quando lo scelgo, ed è questa la mia più grande libertà, la scelta, seppur minima e costretta, ma intelligente, al passo coi tempi e soprattutto irrinunciabile. Non ci sarà nessuno in grado di rintracciarmi, non c’è cellulare e non c’è televisione, la mia pausa è totale. Poi torno. Tornerò, ma sarò un lavoratore, non uno schiavo. Tutto questo è solo un mio pensiero, non voglio e non intendo insegnare nulla a nessuno. È il mio grado di coscienza primitivo che si evolve, non un insegnamento, vita semplice e semplice risposta alle mie necessità.
Come mi stavi raccontando e come si evince dalla tua biografia, il tuo, spesso se non sempre, è un impegno sociale, a differenza di molti cantautori che scrivono di quella che è la loro intima storia personale. Come ti rapporti con queste due differenti realtà?
Semplicemente non ci penso. Non perché non sia importante, ma è più importante dare sfogo a quello che sono piuttosto che cercare di far contento qualcuno. Scrivere è una scelta personale, come personale è il tema di cui parlare. Io non conosco le motivazioni per le quali si scrive solo di sé o d’amore, che in fondo sono le uniche materie affrontate da quasi tutte le canzoni, so però che visto che tutti lo fanno, e lo fanno così bene da viverci felici per generazioni, è di sicuro irrilevante e inutile che lo faccia anche io. Sono i miei interessi a spingermi, è evidente che non sono comuni a molti miei colleghi, ma non per questo meno importanti. Per me lo sono e io ne parlo, tutto qui.
Sembra prematuro chiederlo ora, ma lo farò comunque. Hai già progetti per il tuo futuro musicale che vanno oltre “Medio precario libero”?
Non è prematuro, anche perché so cosa rispondere. Nel mio periodo di pausa – per auto-citarmi – durato anni, ho lavorato e scritto molto; non solo musica ma anche prosa. Ho scritto molti brani e diversi racconti. Oggi sento il bisogno di urlare di nuovo alcuni sentimenti scaturiti da eventi del mio presente. Per ciò che riguarda la musica in particolare, ho scritto una trentina di nuovi brani, ne ho scelti otto e ne farò un disco. Il primo singolo, se così lo vogliamo chiamare, è proprio Medio precario libero, tra l’altro l’ultimo nato in termini di tempo, l’ultimo scritto e il più giovane di tutti. Quindi sì, c’è un disco nel mio immediato futuro. A differenza di ciò che sono stato negli ultimi anni però, questa volta sarò solo, completamente solo. Sarà un disco da solista, voce, chitarra e qualche ospite. Non più Rossomalpelo gruppo quindi, non più musica espressa da musicisti esperti e parole, per così dire, d’autore, ma parole accompagnate da chitarre, e strumenti che fanno rumore. Spero di poterlo terminare entro la fine del prossimo novembre e magari riparlarne insieme.
Ti ringrazio per aver passato qualche minuto con noi ed averci rivelato quello che c’è dietro Rossomalpelo. Ti lascio qualche riga per aggiungere quello che vuoi.
Sono io che ringrazio te, voi, per questa intervista, per lo spazio concesso. Una cosa la vorrei dire, sì: vorrei definire la mia posizione, io sono Indipendente. Non indie, proprio indipendente. Il che significa che sono solo, non ho nessuno alle spalle, nessuna casa editrice, nessuna agenzia di booking, nessuna etichetta discografica. Non ho mai avuto nessuno. Quello che ho ottenuto e che ho raggiunto, lo ho avuto solo grazie al pubblico, al passaparola. Sarà difficile a credersi ma è così. Indie oggi non significa essere indipendente, è solo un genere di musica, comunque prodotto, spinto da qualcuno, pagato, realizzato e impacchettato. Essere indipendenti è una scelta, anche una brutta scelta, ed esserlo non significa non avere contatti con nessuno, significa solo scegliere i propri partner, i collaboratori, gli agenti sul territorio. Ma io sono solo, ancora, e seppur riconosca la scelta discutibile, la vivo come vita possibile, bevuta fino all’ultima goccia e non come condizione sfortunata dovuta ai soliti potenti, vita che poche volte capita. È la mia pausa, il mio mare di alternative incompatibili.