Mimmo Borrelli, Vinicio Capossella e le maschere tradizionali ospitate dallo Sponz Fest.
Mimmo Borrelli, Vinicio Capossella e le maschere tradizionali ospitate dallo Sponz Fest.

SPONZ FEST 2018: DEL RESTARE IN SELVA, DEL RESTARE SELVAGGI

Siamo giunti alla sesta edizione dello Sponz Fest. L’evento si è saputo ormai incardinare nel territorio, sotto la guida solerte e baldanzosa di Vinicio Capossela. Lo abbiamo capito subito nei volti, nelle voci, nel moto vagabondo e sospeso degli sponzati per le vie calitrane. Tutt’atteggiati nella tensione silenziosa e unanime del rito. Immaginatevi qualcosa di perduto alla vita cittadina, una dinamica forse riscontrabile nelle “sacre” paesane di una volta, feste di genuina epifania e di sollazzata condivisa convivialità.

Sponzare è voce dialettale per “sposarsi”, ma forse può suonare più familiare il significato pugliese, che è quello di bagnare la fresa nell’acqua. La Puglia, d’altro canto, è vicinissima. Ancor più vicina la Lucania: l’Irpinia è una terra sospesa. Difficile imporle il giogo di un confine scritto a penna sulla carta. Il suo nome viene dalla lingua sannita “hirpos”, e significa lupo. È quanto mai appropriato ricordarlo, dato che il tema di quest’edizione è “salvagg’”, un lemma ambiguo, che contiene il selvatico e il salvataggio. È appunto questa biforcazione che si è presa a tema per conferire il senso condiviso della festa: solo ci si salva inselvatichendosi, accogliendo la bestia, dandole parole e spazio.

A cosa rinunciamo insieme alla nostra selvatichezza? E per che cosa? Cosa ci fa accettare di essere animali mansueti e cosa rinneghiamo nel selvaggio?”

Il momento clou è stato, come per le passate edizioni dello Sponz Fest, il concerto finale e la notte a seguire. Vinicio Capossela ha deciso di dare sepoltura al suo ultimo album, “Canzoni della Cupa”, lanciato due anni fa. Si tratta di una collezione di temi popolari reinterpretati dalla sua nota elegante autorialità, posta a servizio di un’indagine aperta al folk autentico, plasmato sulle voci calitrane, sui ricordi contadini, sui sentieri ai duri campi irpini. L’incanto è risuonato da un palco al termine d’un vallone incavato nella selva, poco fuori il borgo. Sul suo fondale, a pochi km, si stagliava la rupe dei Siensi di Cairano, altro luogo fra i molti disseminati nel territorio del festival. In duo con Vinicio Capossela, si è esibito Mimmo Borrelli, voce selvaticissima della drammaturgia contemporanea.

La forma del concerto è andata sfumando nel rito, nella mascherata apotropaica con l’invasione finale delle maschere dei Wildermensch. Krampus, Merdules e Rumiti. Che hanno guidato l’effluvio di sponzati verso il borgo castello, dove altri mostri musicali hanno incantato l’alba. Fra gli altri, VURRO, musicista spagnolo, metà uomo metà mucca, percussione ancestrale e sommovente. Poi una gara di percussioni, Alfio Antico e Peppe Leone alle prese coi loro tamburi a cornice. Interprete massimo il primo, già esibitosi in un estasiante concerto lungo il sentiero della Cupa la sera di venerdì, virtuosissimo tamburellista della crew di Vinicio Capossela il secondo.

Che tipo di risorsa è l’inselvaggimento quando la civiltà assume i caratteri della bestialità?”

Elencare gli eventi e il loro incanto non è però rendere giustizia allo Sponz Fest. Che è, come sempre, una trama palindroma e perfettamente fitta di incontri reali, di sguardi obliqui e passanti, di fili diretti tra alba e tramonto. Oltre ai momenti preminenti del cartellone, come i concerti di Teho Teardo e Angelo Branduardi, le danze popolari del ballodromo, le conferenze, le balere improvvisate hanno definito la natura della festa, insieme a pranzi condivisi e saluti coi passanti autoctoni e non.

Come speso succede, ci si interroga su quanta di questa ricchezza resti intrisa nel luogo, a fecondare il tempo tra il lungo letargo da un’edizione all’altra. Si cerca di capirlo negli occhi dei calitrani. Sulle loro labbra il nome di Vinicio Capossela è sempre generosamente portato. È citato col piacere un po’ possessivo di chi vorrebbe trattenere il privilegio di una conoscenza più intima. Lo Sponz Fest nasce e cresce proprio per celebrare la “restanza”, il coraggio di chi in Irpinia è rimasto e rimane, ben oltre il vuoto post-celebrazione, fin dentro le crepe del sisma del 1980 che ricreò la geografia, che spaccò il paesaggio e l’anima.

Restò la musica, la sentiamo ogni volta che andiamo allo Sponz Fest.

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