A scapito delle tante critiche negative ricevute, sopratutto nella sua impostazione definita troppo favolistica, “Bohemian Rhapsody” è strutturato in modo da elargire al pubblico l’immagine più possibilmente fedele dei Queen. Dopotutto ci troviamo pur sempre davanti a un film biografico. Uno dei generi classici del cinema. E nella sua andatura canonica ripartita nei tre atti di ascesa, ricaduta, nuovamente ascesa, è innegabile non trovare delle forzature drammaturgiche. Ma “Bohemian Rhapsody”, tende a concentrarsi continuamente sul processo creativo dell’opera musicale dei Queen. Non cerca di dare risposte ulteriori a quello che già sappiamo sulla vita privata di Freddie Mercury. Anzi, segue le volontà sia del celebre leader quanto del chitarrista Brian May di non drammatizzare eccessivamente tale aspetto.
“Bohemian Rhapsody”, dopo anni d’attesa, è il film sui Queen voluto dai Queen. Brian May ha più volte espresso la sua benedizione a riguardo.
Erano anni che circolavano voci di corridoio su un possibile film dei Queen. L’attore britannico Sacha Baron Cohen fu inizialmente preso in considerazione per la parte di Freddie Mercury. Il progetto, tuttavia, fu rinviato di continuo perché lo stesso Brian May trovava si soffermasse troppo sull’omosessualità e la malattia del cantautore. In “Bohemian Rhapsody”, infatti, lo sceneggiatore Anthony McCarten e Bryan Singer mostrano un Freddie Mercury solenne. “Sul palco sono la persona che voglio essere”. Perfezionista, divo, profondamente devoto alla sua vocazione artistica. Questa era l’immagine che Freddie Mercury dava di sé. Non era avvezzo a raccontare la sua intimità ai mass media. E in tutto “Bohemian Rhapsody”, vediamo Freddie Mercury nella sua grandezza, la sua spettacolarità. Un personaggio prodotto totalmente su e da se stesso, non dal mondo dello show business.
L’appellativo quattro emarginati durante la visione ci appare più che consono. Freddie Mercury, Brian May, John Deacon e Roger Taylor sono rispettivamente un fattorino, un astrofisico, un ingegnere elettronico e un dentista. Quattro ragazzi appassionati di musica si trovano insieme nel posto giusto al momento giusto. Ognuno di loro con una specifica peculiarità, e un’idea precisa di come voler produrre musicalmente. Si scontrano, litigano, difficilmente scendono a patti tra loro e con le major musicali. Ma è grazie a questo eccessivo perfezionismo sperimentale che sarebbero diventati leggenda. Un aspetto su cui “Bohemian Rhapsody” pone spesso l’accento, senza dilungarsi troppo in parafrasi sentimentali marcate e oltremodo melodrammatiche. I Queen sono animali da palcoscenico, passano le ore negli studi di registrazione, e Bryan Singer non può far altro che rappresentarli nelle piena vivacità di quei luoghi.
Che siate fan o meno dei Queen e di Freddie Mercury, “Bohemian Rhapsody” tende a catturare emotivamente e visivamente.
La scelta del cast è quanto di più accurato si possa trovare in un solito biopic. Rami Malek, Ben Hardy, Joseph Mazzello e Gwylim Lee, oltre ad essere incredibilmente somigliati, svolgono attentamente un lavoro sulla gestualità, voce e mimica della band britannica. Rami Malek rievoca tutta la sinergia performativa scenica di Freddie Mercury, da preannunciare una candidatura ai prossimi Oscar. Bryan Singer, proprio nel voler rendere tributo all’opera dei Queen, dirige “Bohemian Rhapsody” come un musical sui generis. A fronte del licenziamento del regista, e la sostituzione in extremis con Dexter Fletcher, il film si proclamava disastroso. Bryan Singer, da artista pop qual è, fa prevalere ugualmente il suo tocco unico. La musica dei Queen pervade ogni sequenza, come un proto-videoclip senza fine, lasciando la voce di Freddie Mercury cantare interrottamente in sottofondo. E adottando un montaggio febbrile a ritmo con il vario susseguirsi delle canzoni.
“Bohemian Rhapsody”, dopo anni d’attesa, è il film sui Queen voluto dai Queen. Brian May ha più volte espresso la sua benedizione a riguardo. E i fan più fedeli, non potranno non notare la loro volontà nel rimanere vicini col pensiero al loro leader. Sin dalle prime inquadrature, Freddie Mercury è presentato come un divo. Forse insieme a Michael Jackson è stato uno degli ultimi divi del Novecento. Questo doveva essere mostrato a noi spettatori, a dispetto della morbosità dei media sulla malattia che portò Freddie Mercury alla morte nel 1991. Egli era legato agli altri tre emarginati dalla musica che insieme hanno prodotto, suonato, inciso e si sono esibiti. È stato doveroso volerli ricordare nel tempo nella loro essenzialità. Che siate fan o meno dei Queen, “Bohemian Rhapsody” tende a catturare emotivamente e visivamente. Lasciandoci infine, inermi di fronte a uno dei finali più sensazionali raramente visti prima. Impeccabile.