La formazione de I Lobello.
La formazione de I Lobello.

I LOBELLO: “Si dice che si muoia una volta sola, ma per il punk non è così”

Diamo il benvenuto a Snack La Fronte de I Lobello sulle nostre pagine. Iniziamo sempre le nostre interviste chiedendo agli artisti di raccontarci qualcosa di nuovo e inedito.

Ciao, grazie a voi per averci ospitati. Diciamo che nel 2019 I Lobello compiono 20 anni, quindi la cosa davvero straordinaria è che siamo ancora vivi.

Come è nata la vostra band?

Il gruppo è nato nella stanzetta scalcinata del nostro primo batterista, attualmente il nostro designer ufficiale, Nanà Dalla Porta (aka Chuky Charleston). Era il 1999. Eravamo lui, io, Matteo (aka Jhonny Bigusto), Fabe, il più grande bassista della nostra zona – il mai troppo amato Oltrepò Pavese – e un dischetto dei Derozer. A parte Fabe, eravamo praticamente tutti degli irrimediabili disagiati e dei completi c*****i. Ma abbiamo deciso di mettere su una band punk rock. Ma per come la pensiamo noi, una band è qualcosa di più.

Ovvero?

Una famiglia! Ecco il motivo del nostro nome. Ne I Lobello è passata un sacco di gente, senza nessuna discriminazione, soprattutto di genere. L’unico requisito è sempre stato questo: l’alcolismo. È semplice: se sei astemio non ti vogliamo. Così, dopo una ventina di cambi di formazione siamo arrivati a quella attuale. La qualità è sempre quella, ma come dico sempre: non aver imparato una singola nota in 20 anni, non è incapacità, è coerenza.

Quali sono stati gli artisti sia italiani che internazionali che vi hanno formato?

Beh, punk rock è sinonimo di Ramones. tra le band italiane non possiamo non menzionare Impossibili, Derozer, Senzabenza, Retarder. Insomma, se conosci un po’ il genere, hai capito di cosa sto parlando.

Avete alle vostre spalle ormai un bel bagaglio musicale. Com’è cambiato il punk in Italia in tutti questi anni?

Ecco, si dice che si muoia una volta sola. Per il punk non è così. Il baratro è sempre dietro l’angolo. Però bastano una batteria, due chitarre, poco altro e, se l’attitudine è quella giusta, la scintilla si riaccende.

Ci sono artisti, magari tra i più giovani, che oggi vale la pena seguire in Italia?

Una band su tutte: BAD FROG!

“220” è il vostro ultimo lavoro. Un viaggio in un’analisi ironica sui rapporti tra uomo e donna. Ma da dove è nata l’idea?

Le canzoni sulle relazioni di coppia sono un cliché, sempre e in qualsiasi lingua. Ma in fondo non è una cosa negativa. Il punto è questo: se la verità non esiste e le opinioni non valgono niente, allora di cosa vuoi che parliamo? Di niente? Restano sempre cose apparentemente inutili, ma oneste, come una ragazza che ti fa perdere la testa, un bar sudicio ma accogliente come una seconda casa, una cazzata da dementi. Oppure un bel sonoro e diretto vaffanculo. Queste sono le basi del nostro genere. Sono anni che volevamo fare un concept sull’argomento ragazze. Volevamo chiamarlo “Lobello in love”, poi è arrivato “220” ed eccoci qua.

L’ultima traccia di “220” è “La Canzone del Ragazzo”, forse la meno ironica. Vi ritrovate nella descrizione dell’uomo deluso e disilluso?

“La canzone del ragazzo” è la canzone del perdente. Capiamo che al giorno d’oggi, dove tutti si sentono sotto i riflettori per una foto ben riuscita e una manciata di like, questa cosa non abbia un grande appeal, ma sinceramente ce ne sbattiamo il cazzo. In fondo il risultato di tanta condivisione non è nient’altro che la solitudine. La vita reale non è digitale.

Come ogni band punk che si rispetti, il bello arriva sul palco. Quando potremo vedervi live?

Dovremmo fare un paio di date tra Natale e Capodanno. Poi ci mettiamo in pista per la prossima primavera. Troverete aggiornamenti sulla nostra pagina Facebook. Venite a vederci, amigos.

Ringraziamo I Lobello per essere averci fatto compagnia. Le ultime righe sono solo per voi!

Bene, grazie a voi e a tutti quelli che non abbiamo nominato, ma ci vorrebbe un libro. Un abbraccio dalla famiglia de I Lobello, ci becchiamo al bar.

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