“Periferico” ha un primo difetto riscontrabile fin da principio: la scaletta. Non è mai un elemento da sottovalutare quello dell’ordine dei brani, e questo si sa. Non dico che i Death Cell abbiano sbagliato in toto, ma si poteva puntare su un inizio più efficace. Perché da un lato è giusto aspettare a tirare fuori gli assi dalla manica, ma probabilmente si poteva trovare una via di mezzo.
“Periferico” non è solo ed esclusivamente teso alle generazioni emergenti, ed è una scelta dei Death Cell che richiede una certa coscienza e ha una gran dignità
C’è di buono che “Periferico” è un album fortemente sentito, ispirato da un rock un po’ “sporcato” di metal in stile italiano che somiglia molto ad alcune nostri prodotti. Non sempre invecchiano bene. D’altra parte sicuramente i Death Cell hanno un pubblico di riferimento che non può ovviamente essere quello dei quindicenni tutto trap e gangsta. Ed è una cosa che va rispettata. Fare musica che non sia solo ed esclusivamente tesa alle generazioni emergenti è una scelta che richiede una certa coscienza e ha una gran dignità. Lo stile delle chitarre, la durata delle canzoni e i testi in italiano eseguiti in quel modo, bisogna ammettere, sembrano usciti da un altro decennio. Però, come detto, non è necessariamente un male.
Nell’eterna corsa al presente che domina la scena musicale, è giusto che ci sia chi difende un modo di approcciarsi che non dimentica le sue radici. Applicare il metro di giudizio contemporaneo a “Periferico” sarebbe sciocco e forse anche ingiusto. Significherebbe non aver compreso né a quali ascoltatori si rivolge, né cosa può ancora portare un lavoro old fashioned. I Death Cell sanno molto bene quello che hanno fatto col nuovo album e anche la consapevolezza è un valore da riscoprire.