I Lightpole in una foto promozionale.

LIGHTPOLE: “Ci sono dinamiche che vanno ben al di là dell’arte e la escludono”

Abbiamo intervistato per i lettori di Music.it i Lightpole, band electro-rock psichedelica che di recente ha pubblicato il primo LP, “Dusk”, con Overdub Recordings. Ciao ragazzi, benvenuti! Iniziamo subito con la nostra domanda di rito: ci raccontate un episodio legato alla musica che non avete mai condiviso in interviste ufficiali?

Prima di ogni concerto, la band si riunisce per una preghierina a Cthulhu.
Abbiamo la nostra sala prove in un piccolo paesino di montagna. A fine prove, il ritrovo per una bevuta nei locali del paese è tappa obbligatoria. Una sera sfortuna ha voluto che nel nostro locale prescelto ci fosse il concerto di Calcutta al grido di «faccio rock’n’roll». Non ci è bastata una bevuta per metterci allo stesso livello trash della serata.
Lo spettacolo si è concluso con il cantante che provava a pomiciare anche con i muri, il batterista al bancone che parlava con amici immaginari. Nel frattempo il chitarrista era intento a sverniciare il bagno e il tastierista, trascinato per i piedi, a passare lo straccio per il locale. Con i capelli.

Ecco un’immagine molto edificante che probabilmente infesterà i nostri peggiori incubi.
Torniamo al vostro disco, “Dusk”: è molto particolare. Mi è sembrato di percepire le contaminazioni di moltissimi generi e artisti diversi. Quali sono le vostre fonti d’ispirazione principali?

La musica neomelodica napoletana e il liscio romagnolo del secolo passato.
Più che di riferimenti diretti riportati nella nostra musica, che in linea di massima non abbiamo, possiamo parlare per quel che riguarda i nostri ascolti. All’interno della band c’è sicuramente un comune denominatore presente che sono i Radiohead e uno passato che sono i The Doors. Poi c’è chi nelle orecchie ha più influenze da parte dei Nine Inch Nails, chi dei Foals, chi dei Moderat. Siamo dei buoni divoratori di musica, e sorvoliamo spesso e volentieri le categorie musicali.

La vostra musica non è molto italiana, e non solo per la lingua inglese che avete scelto per i testi. Aspirate a conquistare i palchi di altri paesi o siete a vostro agio suonando nel nostro?

Viviamo bene nel disagio. 
Crediamo che in questo preciso momento storico in Italia ci sia un disagio diffuso in campo musicale. Questo vale anche per chi fa musica più vicina al gusto italiano di tendenza, che sia commerciale, indie-pop o alternative. Noi viaggiamo su sonorità decisamente nord-europee, quindi il nostro disagio vale doppio. Più che un’aspirazione, per noi è un’esigenza poterci esprimere di fronte un pubblico con una sensibilità più vicina alla nostra cifra stilistica.

“Dusk” è ricco di tinte crepuscolari. Mi ha evocato l’immagine di un sabba di streghe. Se la vostra musica fosse un evento sovrannaturale, quale sarebbe?

Matteo Salvini Vicepresidente del Consiglio.
In questo album le tinte crepuscolari sono forti, e le tematiche legate all’ignoto e a energie oscure ben presenti. Più che a un evento soprannaturale ci sentiamo molto più vicini alla sensazione devastante di un terremoto. L’abbiamo impressa nella mente e vi facciamo più volte riferimento nei nostri testi, venendo da una terra che recentemente è stata devastata dal sisma. Mi riferisco alle Marche del sud.

Una sensazione tremenda, che per fortuna molti di noi possono solo immaginare.
Se foste chiamati ad aprire il concerto della vostra band preferita, chi vorreste che fosse e dove?

Tony Tammaro alla Sagra della Passera ‘mbriaca di Rubbianello.
Ci sentiremmo molto in sintonia con l’apertura di un concerto dei Tame Impala al Lost Village Festival a Swinderby (Lincolnshire – UK). Un luogo magico, immerso in un bosco, dove poter esprimere al massimo il nostro lato psichedelico.

Del vostro ultimo album, qual è la canzone che secondo voi rappresenta meglio i Lightpole?

La ghost track.
È davvero difficile scegliere. Ogni brano ha il suo carattere e rappresenta qualcosa di molto specifico sia in termini di significato che di significante. Se vogliamo trovare una sintesi, forse “Shadows”, con la sua struttura tipica della suite, si può condensare tutto quello che viene raccontato nell’album. Non a caso è il brano di chiusura.

Grazie mille per il tempo che avete condiviso con noi, le vostre risposte mi hanno divertito e intrigato. C’è qualcos’altro che volete aggiungere in chiusura di quest’intervista?

WLF WTF WWF.
Vogliamo ringraziare la nostra etichetta, la Overdub Recordings, per il supporto che ci ha fornito finora. Per la possibilità che ci ha dato di intraprendere un percorso professionale nel panorama della musica italiana e non solo. Parliamo di una giungla in cui è molto difficile districarsi e molto facile perdersi. Ci sono dinamiche che vanno ben al di là dell’arte e anzi spesso sono sconnesse da essa. Bisogna imparare a muoversi con la consapevolezza che da soli non si va da nessuna parte, e che la propria esigenza espressiva non è tutto.

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