Attenzione, però. Non bisogna pensare che la musica di Enzo Gragnaniello sia un semplice abbellimento folkloristico, uno strato sonoro che va a sommarsi al brulicare rumoroso dei vicoli di Napoli. Piuttosto è a partire dalle tracce di “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” che la memoria dell’ascoltatore ricostruisce liberamente la suggestività dei suoi vicoli. L’amore è uno dei fili rossi che serpeggiano tra i brani composti da Enzo Gragnaniello. Che sia il cuore pulsante di un’esistenza che riacquista valore solo a partire dal tempo di vita, diverso da quello misurato, come in “Mmano ‘o tiempo”.
La forma espressiva di “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” calza a pennello con la calda voce di Enzo Gragnaniello, facendo risuonare armonie raffinatissime per i ritmi blues
Che sia, in quanto sentimento, il punto di partenza per una riflessione sulla società contemporanea. Oppure, in chiave passionale, un’occasione per riflettere sulle relazioni più o meno lunghe come in “Na Sera Cu ‘tte” e “Si tu me cunusciss’”. Ma in “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” Enzo Gragnaniello saprebbe catturare con sonorità che le nuove generazioni possono considerare persino antiche anche la loro attenzione. Specialmente con brani più spiccatamente sociali, come “Gli uomini ego”, “Povero munno” e “’A delinquenza”.
Enzo Gragnaniello è la dimostrazione di come si possa continuare a dare valore aggiunto con il proprio contributo artistico continuando a parlare la propria lingua. La forma espressiva che sceglie calza a pennello con la vocalizzazione calda e con la lingua scelta, che fanno risuonare armonie raffinatissime per i ritmi blues e funky che strutturano le sue poesie. Se il dialetto lo ancora al folk, con percussioni, fiati e corde ricostruisce la complessità culturale della terra in cui è nato. Era difficile che “Lo chiamavano vient’ ‘e terra” deludesse all’ascolto. Blasonato con tre targhe del prestigioso Premio Tenco per il cantautorato in dialetto, Enzo Gragnaniello aveva fatto riscoprire negli anni ’90 “Cu’ mme” nella celebre versione duettata da Mia Martini e Roberto Murolo.