L’album si apre con la title track, che rafforza questo concetto, proponendosi come una canzone istintiva, senza ritornello, e con una linea di toy drum. La seconda traccia porta con se profumo di The Rolling Stones. Nel titolo (“I Got The Blues”) e nell’ambientazione, ma sia musica che testo sono totalmente diversi. Ancora uno strumento giocattolo a delineare la terza traccia di “English Aphasia”, una toy keyboard che da’ animo a “Connection”, seguendo il ritmo del basso. La sognante “Between For A Day Trust” è un surrogato di ecletticità e fantasia, perché si passa con facilità da suoni striduli ad altri armoniosi.
English Aphasia contiene istinto, coraggio e desiderio di non scendere a compromessi
Questo brano, chiuso nel suo mondo, ci da’ la sensazione di volersi ritagliare un posto al di fuori, come se stesse tentando di attirare l’attenzione. Appunti sparsi di Daniele Faraotti su David Bowie e tastiere da brividi danno vita ad una traccia fusion, con venature alla Frank Zappa, dal titolo “Zawie III”. Echi di The Beatles emergono in “Sea Elephant”. Unica traccia del disco ad essere cantata in italiano, e con molte caratteristiche uniche, che la rendono bizzarra. Chiaramente parodiata dal tricheco di lennoniana memoria, la canzone segue un ritmo proprio.
Un saliscendi inverso rispetto all’originale “I’m The Walrus”, come fosse un’immagine riflessa. “English Aphasia” si chiude con “Joni, George, Igor And Me”, su una base improvvisata tratta da “African Coro” compreso nel software della Logic Instrumental Software. Il brano ci porta in salvo proteggendoci dal buio della notte, cullandoci dolcemente tra stratificazioni di voci, trombe e percussioni, e chitarre alla George Harrison.
La musica di Daniele Faraotti non può essere accomunata a nulla di già conosciuto
La considerazione che ci viene da fare è che Daniele Faraotti non goda della fama che merita, perché la sua arte non è solo musica. È un concentrato di improvvisazione e gioco, teatralità delle ambientazioni e appunti di musica di altri tempi, e soprattutto di generi diversi, fusi con senso. Tutto questo anche grazie a momenti di nonsense, voluti e rimarcati, a far uscire un’anima particolare e unica, che meriterebbe molta più visibilità ed attenzione.
Le canzoni di “English Aphasia”, come anche dei precedenti lavori di Daniele Faraotti, non possono essere accomunate a nessuna traccia tra quelle che già conosciamo. Ed è per questo motivo che ci viene da pensare che l’artista di Forlì dovrebbe avere maggior seguito. Per le sue doti di eclettico songwriter. Superando la prima fase in cui ci potremmo sentire spaesati, il continuo dell’ascolto ci apre un mondo nuovo, in cui la musica assume forme eteree.