Nel disco, composto da dieci tracce in lingua inglese, si fa ampio utilizzo di bassi e sintetizzatori; assieme alla voce profonda e baritonale, costituiscono l’anima in chiaroscuro di [lessness]. Il mood dell’album è crepuscolare, e come suggerisce il titolo stesso, si mantiene in equilibrio fra la luce e l’oscurità. [lessness] sembra volerci dire che la vita stessa, con le sue complicazioni, ci porta a oscillare perennemente fra zone d’ombra e angoli di luce. Esattamente come si alternano il giorno e la notte.
Il mood dell’album è crepuscolare, si mantiene in equilibrio fra la luce e l’oscurità.
Il titolo del disco è una citazione al racconto di Samuel Beckett “Lessness”, a cui in parte si ispira. Ma mentre il protagonista del racconto ripercorre la propria vita e i propri errori, imprigionato in un flusso di ricordi, quello del disco sembra piuttosto emergere da una palude di memorie e volgere lo sguardo a un nuovo giorno. Il viaggio, però, è tutt’altro che compiuto: è solo dopo il risveglio che inizia la vera sfida. L’autore sembra suggerirci che ogni scelta, ogni errore, ogni cambio di direzione è frutto del nostro libero arbitrio; con tutte le implicazioni del caso, che siano negative o positive.
Lo scheletro di “Never Was But Grey” si compone di robuste ossa post-rock, synth pop e new wave; si percepiscono echi ricorrenti di Joy Division, Depeche Mode e James Blake. La voce è distante ma allo stesso tempo penetrante e suadente; sembra provenire dai più profondi recessi del cuore, da una soffitta rimasta chiusa per lungo tempo. [lessness] ha saputo dunque elaborare un racconto suggestivo ed evocativo, citando senza copiare e senza scadere nel banale.