Partiamo subito col dire che la voce di Viky è pazzesca. L’intensità, l’estensione, l’espressività: le corde vocali di questo giovane cantautore disvelano quintali di talento. Ed è proprio sulla forza della voce che si basa tutto il disco, musicalmente e concettualmente. Il sussurro, l’urlo, il lamento, l’acuto rappresentano delle allegorie del naufrago che combatte contro le onde; di volta in volta viene spinto sotto, riemerge con rabbia e poi ci si abbandona.
“Tra le mie coste” rappresenta un naufragare dolceamaro nel mare delle emozioni, da cui a volte ci sentiamo sopraffatti e a volte arricchiti.
La voce rappresenta l’anima di “Tra le mie coste”, ma sono notevoli anche i testi, ricchi di figure retoriche e giochi di parole. Lo stesso titolo dell’EP gioca sul duplice significato di “costa”, che fa riferimento sia alla costa come salvezza del naufrago, che alle sue stesse ossa, ad indicare che il vagare tra i flutti è piuttosto un viaggio interiore. Pregevoli anche gli arrangiamenti, semplici ma efficaci, che ricreano un sound classico con un accenno di elettronica.
Volendo fare un paragone, sicuramente forzato ma non del tutto improprio, direi che Viky mi ha ricordato una giovane Elisa. Non credo di allontanarmi troppo dal vero se affermo che la sensibilità, la delicatezza e la forza nella voce di Viky siano in qualche modo analoghe a quelle della cantautrice, con cui forse condivide un certo background.
Una menzione speciale la meriterebbe l’ultima traccia dell’EP, “Tra le mie coste pt. 2 (girare le vele)”. È una canzone che rielabora i temi dei brani precedenti e che potremmo definire rotta; sembra infatti che il naufrago sia andato in mille pezzi e che alla conclusione del suo viaggio sia divenuto una sorta di Frankenstein fatto di ossa, sale e sabbia. Ma anche nelle sue parti più sgradevoli e dissonanti, “Tra le mie coste” rappresenta un naufragare dolceamaro nel mare delle emozioni, da cui a volte ci sentiamo sopraffatti e a volte arricchiti.