Una foto promozionale di "Child's Play", arrivato al Roma Fringe Festival da Israele.
Una foto promozionale di "Child's Play", arrivato al Roma Fringe Festival da Israele.

ROMA FRINGE FESTIVAL: “Child’s play”, “Ragù bene comune”, “La nebbia”

Un’altra serata è trascorsa al Palco A del padiglione Pelanda del Mattatoio, per il Roma Fringe Festival. Tre rappresentazioni che più diverse l’una dall’altra non si può. Di certo, ce ne è per tutti i gusti: per gli amanti delle clownerie, per gli amanti del cabaret e per chi ha un occhio di riguardo per le sperimentazioni.


CHILD’S PLAY

“Child’s play” è il secondo spettacolo del Roma Fringe Festival totalmente privo di testo. È sempre interessante constatare che i limiti del linguaggio verbale possano essere oltrepassati attraverso il corpo, il dispositivo con cui viviamo il mondo e lo conosciamo. Con “Child’s play” la formula di teatro danza funziona particolarmente, perché attraverso maschere e i corpi di Triplet ensamble, il trio proveniente da Israele diretto da Zvi Fishton, danno una rappresentazione plastica alle esigenze messe in campo dai bambini. Si impara molto osservando i piccoli umani nel momento del gioco. Non considerano gli oggetti come altro-da-sé, bensì come prolungamenti del proprio corpo, o per meglio dire, estensioni della propria volontà di piacere, che è sempre volontà di potere. Hanno l’ingenua pretesa di cosificare le persone che ruotano attorno al loro universo: vorrebbero che entrassero nelle proprie mani per farne ciò che vogliono.

La famiglia è il primo assaggio di struttura sociale. Ma il bagno di realtà avviene entrando in contatto con coetanei estranei al nucleo familiare. Questo viene ricostruito minuziosamente in “Child’s play”, un’archeologia delle relazioni che passa attraverso il momento ludico, di cui i bambini intuiscono meglio la natura disposizionale meglio di noi adulti. Il gioco si costruisce nella pratica stessa, e le regole che lo strutturano si definiscono nell’accettazione e condivisione comune. Con la coscienza adulta subentra quel velo di legittimità statuita che sottrae al gioco la magia della spontaneità. Che poi, persino in “Child’s play”, il gioco non ha niente di spontaneo.

I partecipanti al gioco sono, infatti, costretti al contesto, l’imprescindibile punto di partenza da cui ciascuno può esprimere il proprio modo di stare al mondo. Una paletta diventa uno specchio, una bambola è l’immagine perfetta con cui la bambina si identifica e l’unica compagnetta con cui un bambino può sperimentare il suo primo appuntamento. Nascondendo il viso dietro maschere bianche, il Triplet Ensamble dà una lezione magistrale su quanto il corpo riesca a trasmettere, più di mille parole. Una nota di merito va a Alina Fishzon, Aviran Ruimy e Hadas Selbst, per aver superato egregiamente l’imbarazzo di un inconveniente tecnico di regia. D’altronde, a teatro è sempre buona la prima.


RAGÙ BENE COMUNE

Il web è stracolmo di meme che ci ricordano quanto in Italia la cucina sia una cosa seria, più della politica a volte. Usare il guanciale al posto della pancetta per una carbonara o un’amatriciana che si rispetti può causare diseredazione immediata. Eppure sarebbe interessante approfondire questo ritorno di fiamma per le buone tradizioni culinarie, che sembra figlio della spettacolarizzazione della cucina attraverso reality show, rigorosamente made in USA. Non a caso Chiara Casarico, Emilia Martinelli, Tiziana Scrocca – autrici, registe e attrici di “Ragù bene comune” – sono abbigliate con una divisa che evoca “Master Chef”. Ma chiaramente non è questo il luogo adatto.

Lo stile con cui Chiara Casarico, Emilia Martinelli e Tiziana Scrocca allietano il pubblico è quello leggero del cabaret, uno schema non impegnativo che coinvolge il pubblico per parlare di un tema impegnato. Il ragù, sugo che attraversa tutta l’Italia in varianti più o meno ortodosse, diventa un bene comune che richiede una partecipazione attiva anche del pubblico per una buona riuscita. La cucina come metafora risulta un medium efficace per accennare le questioni che danno corpo alla politica contemporanea. Leggere e coinvolgenti, riescono a far sorridere e a far pensare allo stesso tempo. Una buona presenza scenica da parte delle attrici, grottesco al punto giusto, pulito nell’ironia, con un pizzico di banalità nella vena comica scelta, “Ragù bene comune” risulta un lavoro discreto e poco pretenzioso.


LA NEBBIA

Una drammaturgia densa e serrata quella di “La nebbia”. Rappresentazione nata dal fortunato incontro di Valentina Ferrante e Federico Fiorenza, attori e registi eccezionali, si presenta come studio avanzato sulle forme espressive. Un laboratorio teatrale quello di Quasiteatro e NCT Il Canovaccio che è maturo al momento della messinscena al Roma Fringe Festival. Potevano scegliere di adagiarsi sul gioco di stile, e consegnare al pubblico un copione che soddisfa ma non sazia. Con “La nebbia” si impegnano, invece, a restituire contenuti importanti, che si infilano sottopelle, scaldando o ghiacciando.

Maschere, trasformismi vocali, utilizzo plastico dei corpi, il tutto amalgamato ai potenti sperimentalismi sonori del maestro Alessandro Aiello. Un tappeto di foglie a ricordarci che l’autunno è la decadenza dell’estate, la stagione della nebbia, la stessa che avvolge le coscienze dei più. Una coscienza annebbiata, che non sa esercitare il proprio senso critico, è una coscienza allo stato bestiale, belante, come ci ricorda Valentina Ferrante durante la pièce. Sono molte le prospettive da cui “La Nebbia” può essere interpretato.

A partire dalla denuncia di una certa retorica della violenza. A partire dalla denuncia del sistema educativo, i capillari attraverso cui il potere diffonde la sua ideologia per soggiogare i dominati. A partire dalla denuncia del potere spirituale, che costituisce la base attraverso cui il potere politico in Italia ha fatto presa. A partire dal potere del bisogno: un popolo reso affamato sarà grato per le briciole. Niente viene lasciato fuori, tutto viene analizzato, sviscerato e sbriciolato proprio come le foglie che riempiono il palco. La compiutezza del lavoro compiuto su “La nebbia” si evince, soprattutto, dalla capacità di Valentina e Federico di essere trasversali: mettersi di traverso, nel tempo e nello spazio, raccogliendo in un’unica opera memoria storica e acuto senso del presente.


Non è vero che gli artisti debbano esprimere il contenuto di un’epoca, essi devono dare a un’epoca un contenuto.

Konrad Fiedler

Non solo la varietà dei contenuti, ma anche la molteplicità degli stili dei lavori presentati a questa settima edizione del Roma Fringe Festival lascia ben sperare. Nella congerie storica in cui ci troviamo a vivere, il teatro trasfigura esperienze ed esigenze individuali in vere e propri significanti che, come le parole, sono rimessi all’interpretazione del singolo all’interno della platea.

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