Diamo il benvenuto a Shigaraki che oggi è con noi per presentarci il suo ultimo disco pubblicato per Astral Concrete: “Planetes”. Prima di iniziare che ne dici di raccontarci un qualche aneddoto sulla tua carriera di musicista?
Grazie per avermi offerto il vostro spazio con questa intervista! Vorrei iniziare con un aneddoto antecedente alla mia carriera di musicista, tornando indietro a circa 22 anni fa. Terminati gli studi di chitarra classica, all’età di circa 15 anni, iniziavo a nutrire interesse per altri strumenti; ricordo che ero assolutamente convinto di voler intraprendere il percorso da violinista. Per qualche ragione che non ricordo, passò qualche mese senza che questo desiderio si avverasse; dopodiché ebbi l’istinto irrefrenabile di iniziare a suonare il basso elettrico, non proprio due strumenti simili direi! Ricordo che qualcuno mi disse qualcosa del tipo “ma non sarebbe meglio continuare con la chitarra? il basso è solo uno strumento d’accompagnamento!”… È divertente per me pensare che adesso tra i miei progetti principali c’è Shigaraki, dove l’unico strumento presente è proprio quel basso elettrico considerato “d’accompagnamento” nell’immaginario musicale comune.
Allora passiamo alle presentazioni, Chi è Shigaraki? Come mai la scelta di questo nome?
Nelle vesti di Shigaraki c’è Franz Cardone, bassista degli Sherpa dal 2017, subentrato appena dopo la registrazione del loro primo album, al quale non ho preso parte. Shigaraki è il nome di un paese del centro sud del Giappone, uno dei luoghi cardine dell’arte della ceramica tradizionale giapponese (la ceramica giapponese è una delle mie principali passioni). Il suono di questa parola mi è da subito piaciuto molto, forse per una certa circolarità che ne traspare, e ho deciso di usarlo per questa mia identità musicale. L’altro motivo è che ammiro molto il trasporto spirituale che la cultura giapponese ha per l’arte in generale.
Quale è stato il percorso che ti ha portato ad avvicinarti alla musica?
Sono uno di quei fratelli minori che hanno intrapreso il viaggio musicale per emulazione del fratello maggiore. Ricordo che già all’età di 5 o 6 anni mi imbattevo in ascolti di album dei Pink Floyd, Led Zeppelin, Supertramp, per citarne alcuni. Poi a 16 anni l’incontro del tutto casuale con la musica di Miles Davis ha fatto saltare in aria tutta la mia precedente percezione musicale!
Che posto occupa il tuo progetto solista rispetto al lavoro con gli Sherpa? Si tratta di due cose distanti oppure esiste una sorta di dialogo tra queste due identità?
Sono due realtà che si vanno avvicinando sempre di più con il passare del tempo, pur restando nettamente separate per identità. Per esempio in un recente lavoro con gli Sherpa per l’etichetta Vincebus Eruptum, uno dei due brani registrati per le “Psychedelic Battles Vol.6” è una rivisitazione dell’ultimo brano presente nel mio album “Planetes”. Capita spesso che una soluzione sonora sperimentata per Shigaraki influenzi anche le mie scelte all’interno di Sherpa e viceversa.
Quali sono gli stati gli artisti o i brani che ti hanno ispirato maggiormente durante la stesura di “Planetes”?
Senza dubbio Ryuichi Sakamoto, David Sylvian, gli Autechre, i Pan Sonic, Cornelius e Yaeji, ma anche i Massive Attack, benché si tratti di ascolti molto meno recenti per me. Tra i brani in particolare che hanno avuto grande influenza su di me, direi sicuramente “World Citizen (I won’t be disappointed)” di David Sylvian e Ryuichi Sakamoto, un brano in cui è possibile rintracciare molta dell’ispirazione generale per questo album.
Quali sono state invece le circostanze che ti hanno portato a sentire il bisogno di pubblicare un intero disco da solista?
Nel corso degli ultimi dieci anni almeno ho sempre avuto un certo interesse nel riservarmi uno spazio compositivo che fosse soltanto mio, nel quale evitare di pormi qualsiasi tipo di limite, ma le circostanze, sia di crescita personale che di natura anche solo materiale o tecnica, hanno fatto in modo che questo interesse si concretizzasse solo di recente.
“Palnetes” è un disco sperimentale dove più che raccontare una storia si cerca di creare ambienti sonori irreali e distopici. Quale è il concetto che sta nelle radici di questo disco?
“Planetes” è una parola che ho conosciuto tramite la lettura di un manga fantascientifico realizzato da Makoto Yukimura il cui titolo è appunto “Planetes”. Un’opera molto intensa in cui l’umanità è alle prese con la propria natura di essere estremamente fragile in un ambiente, quello dello spazio, che può rivelarsi sia fisicamente che mentalmente ostile e fatale. L’altro motivo riguarda il suo significato, che in greco antico è, oltre che “pianeta”, anche “errante”; l’ho trovato perfettamente adatto al clima generale di questo album per la varietà di generi trattati e per il fatto che il basso elettrico sia “costretto” ad “errare” attraverso territori in parte inesplorati per questo strumento.
Entriamo un po’ più da vicino nella tua officina, Che tipo di setup è stato utilizzato nella realizzazione di questo disco? Ti sei servito di una effettistica analogica o digitale?
Come affermavo precedentemente, l’unico strumento “reale” utilizzato è il basso elettrico. In questo caso un basso molto particolare, uno Zon Hyperbass 4 corde fretless, conosciuto fra gli addetti ai lavori per le sue caratteristiche davvero uniche. Ho trattato il suono del basso principalmente tramite effettistica digitale e, in un paio di casi, anche analogica. Tutte le tracce tranne la prima e l’ultima sono live recordings in studio senza alcun editing successivo, dove ogni suono è modulato in tempo reale. Gli effetti analogici usati sono tutti Moog, un delay, un ring-modulator ed un 12-stage phaser, mentre la parte digitale è affidata ad Ableton live.
Come prosegue da questo punto in poi il tuo progetto?
Sto lavorando in questo periodo al prossimo album, di cui ho già terminato la struttura generale e mi rendo conto che è estremamente diverso da “Planetes”, la maggior parte dei brani sono cantati. Ciò che restava del suono originale del basso è stato del tutto alterato in favore di un approccio che esalta ancora di più l’insieme della composizione, l’evocazione di ambienti più oscuri, più in linea con il contenuto dei testi. Stiamo anche valutando con la nostra label una pubblicazione a più breve termine di una serie di brani a cavallo tra elettronica minimale e un sound più tipicamente industrial, realizzati principalmente con synth modulari ed effetti analogici, una serie di vecchie registrazioni mai pubblicate risalenti a circa 11 anni fa, ma che si inseriscono in modo molto coerente con la tendenza e l’ecosistema attuale di Shigaraki.
Grazie Shigaraki per essere stato con noi ed averci illustrato il tuo nuovo album “Planetes”. Le ultime righe le lasciamo a te, completale come preferisci.
Grazie ancora per avermi ospitato nel vostro spazio! Approfitto di questo ultimo intervento per parlare brevemente di Astral Concrete, label con cui è uscito “Planetes” in contemporanea con l’album “Topsoils” di Year of Taurus, progetto solista di Matteo Dossena, cantante e chitarrista con il quale condivido le esperienze di Astral Concrete e Sherpa. All’interno di Astral Concrete stiamo realizzando un ambiente nel quale produrre lavori che abbiano un impatto sul piano dell’arte. Uno degli standard con cui ci siamo proposti consiste nel realizzare copie fisiche di album con un packaging che fosse il frutto di un lavoro di grande ricerca, sia nei materiali che nelle tecniche di stampa artigianali. La nostra intenzione è di far crescere questa nuova label come una realtà che sia anche multi-disciplinare, in grado di curare al massimo ogni aspetto del prodotto finale tramite la sinergia di artisti di diversa natura e con differenti capacità.